PASSI SCELTI
Milla era stanca di stare seduta accanto alla sorella Carne sulla sponda dei fenomeni, senza niente da fare. Aveva dato un'occhiata al libro della sorella, ma era uno squallido libro di storia locale, senza Amore né Conoscenza. "A cosa serve un libro senza Amore né Conoscenza?", pensò Milla. Si stava chiedendo (un po' intorpidita, perché quell'insicurezza la faceva scivolare nella sonnolenza) se valeva la pena alzarsi e raccogliere qualche fiore di saggezza per farsene una coroncina, quando, all'improvviso, l'albero a cui si appoggiava cominciò a parlare.
A dire il vero, non era niente di veramente strano, e in fondo non era così sorprendente che l'albero dicesse: "In natura non esistono misteri, prodigi o miracoli, ma idee che attendono di essere comprese e sperimentate". Ma quando l'albero si rivolse a lei, Milla balzò in piedi perché non aveva mai sentito nessun albero parlare dentro di lei.
Era stato il vecchio albero a parlare, un castagno dell'Alabama che aveva compiuto un lungo e avventuroso viaggio prima di arrivare sul nuovo continente. Era nato in Grecia nella notte dei tempi. Zeus aveva voluto donare agli uomini un'immagine dei suoi pensieri dando forma a un disegno universale di libertà e speranza. Aveva reso conoscibile e realizzabile ogni idea, in modo criptico per i poveri umani: una grande mappa nascosta fra i rami, attraversati da un midollo assai simile a quello degli uomini, solo molto più esteso. I rami si protendevano all'infinito e comunicavano con tutti i canali di energia. Il castagno era dotato di una memoria formidabile, conosceva il passato e il presente di ogni specie, e come tutti i saggi stava quasi sempre in silenzio. Gli uomini più sensibili di tanto in tanto si sedevano sotto le sue fronde con le gambe incrociate e la colonna eretta; profetici canti intonavano uccelli di passaggio per orientarsi nella singolare comunicazione con l'albero. Un giorno, un arrogante individuo volle forzare l'albero a parlare. Non riuscendo a udire risposte, pieno di rabbia sfregiò la corteccia e vi incise cuori infranti da frecce; senza tregua torturava l'albero perché voleva a tutti i costi sapere. Investito dalla brutalità di quel losco figuro, l'albero perse tutti i suoi frutti e svenne. Spaventate le foglie si accartocciarono e caddero; offesi i fiori piansero e si sbriciolarono, ma cosciente e piena di vigore la sua anima si diede fuoco, poi allagò ogni dove, chiamò a sé tutti i venti e si immerse nella fluidità con il corpo carbonizzato che pure non aveva perso nessuna delle preziose informazioni midollari. Durante il lungo abbraccio con Nettuno potenziò la sua sensibilità, si fece ancora più saggio e impavido, arricchì i suoi rami e conobbe il tutto. Terra, fuoco, aria, acqua insieme sul suo corpo e nel suo corpo.
Venne una notte d'armonia rischiarata da canti di stelle e danze di pianeti, inni biologici per la memoria stordita del vecchio albero che, pazzo di felicità, piantò nuovamente le radici sulla terra. Scelse una terra morbida e fertile, giovane e profumata. Con i piedi in terra poteva liberarsi dai pensieri ossessivi, guardare il mondo e ricordare la sua funzione naturale. Purificato dagli elementi promise a se stesso che un giorno avrebbe parlato agli uomini. Attese molti secoli perché i tempi non gli sembravano propizi, finché un giorno divampò un incendio spaventoso. La maggior parte degli uomini pensò a mettere al riparo i propri averi, ma un gruppo di temerari corse con il vento a gettare acqua sul corpo del castagno. Correvano veloci a prelevare acqua dal lago e quando l'ultima fiamma si spense abbracciarono fiduciosi il vecchio che, incurvato dal dolore, rispose sussurrando alcuni suoni indecifrabili. Erano troppo presi dalla loro felicità per tentare di capire il dono del vecchio e, in fondo, non volevano sapere altro: in quel momento si accontentavano di un'inconsapevole fiducia nella saggezza della pianta. Avevano una grande verità accanto a loro, ma preferirono una piccola certezza.
L'albero, pieno di amore e di riconoscenza verso quelle creature, avrebbe voluto più forte parlare, lanciare parole eduli per quegli esseri che sembravano assorbire conoscenze con la bocca. Una cellula dei suoi rami, vicina a una stella fissa, gli consigliò di tornare a dialogare con gli animali e attendere ancora. Forse un giorno altri l'avrebbero capito.
E furono di nuovo i tempi dell'attesa.
Presto al mattino si levò un canto:
"Gli uomini sono stolti, non possono volare".
Albero. Questa volta vi devo sgridare, miei cari amici. Certo gli uomini non sanno volare, però non dovete ridere della loro stupidità. Insomma dei bravi fringuelli devono limitarsi a volare e a cantare, come è giusto che sia, ma senza compiacersene.
La voce dell'albero si fece insieme dura e amabile. Quel giorno il vecchio provava una grande pena per le sofferenze degli umani e la sua compassione fu così grande che lo spinse ad agire senza consultare la stella fissa.
Milla prese il taccuino che portava sempre con sé e cominciò a scrivere: "Non cercare di imitare lo stile dei tuoi amici, non lasciarti influenzare dalle tue paure, limitati a guardarle con distacco da lontano e non farle avanzare, non puoi permettertelo. Il tuo taccuino non può contenere pensieri pensati, deve lasciarsi pensare dai pensieri".
La ragazza non aveva afferrato il significato di quanto stava scrivendo ma, sorpresa, si rese conto di aver udito a chiare note l'albero. Non ricordava con quale dei sensi, forse tutti in concerto, o forse si trattava di qualcosa che non passava attraverso i sensi perché avveniva subito nelle cellule: forse l'albero aveva trovato il modo di connettere le sue fibre con le strutture neuronali della donna. Milla vide con chiarezza dove vanno e da dove vengono tutte le cose, eppure non sapeva spiegare il fenomeno. Leggeva ma non capiva. Poteva udire i fremiti dell'albero, vedere l'immagine profonda dell'essenza arborea, gustare i suoi frutti, sfiorare le sue forme, poteva riconoscere il suo profumo tra mille altri, ma non era in grado di riconoscere la chiave di lettura di cui si serviva. L'albero in quel momento era diventato un immenso significante che la stimolava a porre domande, a stupirsi, a curiosare nei suoi interstizi; era reale e magico, disegno e forma, idea e bolla, progetto e caos. Con la mente razionale Milla non era più in grado di decifrare i segni del mondo, eppure non era in stato di incoscienza, non era nemmeno ipnotizzata dai suoi stessi pensieri, non si era assopita, non era in una condizione di beatitudine demenziale da meditazione seduta, non era morta. Si potrebbe dire che Milla non era mai stata così attenta e attiva. Provava una piacevole sensazione fisica, come di sollievo dopo una lunga camminata in salita su un sentiero di montagna: la pelle, traspirando, le comunicava informazioni prese dalle particelle semplici della natura; con lucidità avvertiva il senso di una comunicazione privilegiata, senza intermediazioni, fatta di colori e significanti che si imprimevano con furia nelle sue cellule. Milla guardava negli anfratti dell'albero e l'albero guardava nelle cellule della donna, così che da questi sguardi scaturiva un'immagine unica, allargata, carica di simboli. L'incontro avveniva sul vallo che dal sogno fisico si apriva sul bosco del castagno, sul margine tra fisico e metafisico, dove il margine costituiva una sorta di interfaccia e di filtro tra le informazioni dei due sistemi. Milla sentiva di essere sogno, o meglio attrice del sogno metafisico, sentiva che lo spazio-tempo non era altro che una proiezione simbolica della dimensione metafisica: agiva in un mondo alla rovescia, la realtà era là oltre il margine, mentre lo spazio fisico era nel margine, dunque nel limite meschino stabilito dalla conoscenza umana. Vedeva due dimensioni: quella verticale, il mondo delle idee in movimento e dei quasar, fluire eterea, luminosa ma incolore; quella orizzontale, il mondo fisico delle prove e degli errori, dei colori e delle immagini, protesa nell'immane sforzo evolutivo verso le idee del cosmo. Il margine, specchio e filtro tra i due mondi, fungeva da necessario selezionatore e miscelatore di idee e domande. La donna provava gioia mista a smarrimento. Si sentiva ricongiunta con la mitica unità originaria che, fino a quel momento, pensava si potesse scoprire solo attraverso l'esperienza artistica. Nel sentire sul suo corpo le rappresentazioni dell'arte cosmica, Milla seppe che il suo albero non era fisico, ma non cancellò del tutto i dubbi che la ragione le imponeva. Pensò quindi di intraprendere una lunga conversazione con il vecchio castagno che sembrava ben disposto ad accontentarla. Dapprima non seppe liberarsi di un certo cinismo scettico che comunque le si addiceva, poi iniziò con sottile ironia a conversare.
Milla. Non ti permettere di criticare il mio sogno, caro, non mi sembra migliore del tuo modo di essere. Guardati, sei lì immobile e impotente, se non ci fossero il vento e la pioggia non potresti vivere, sei totalmente dipendente, io invece sono libera.
Albero. Tu non sai cosa sia la libertà. Studi tutte le definizioni di libertà, ti orienti nella dottrina dell'evoluzione, pretendi di conoscere il pensiero politico, la storia delle idee, la storia delle religioni, eppure non sei libera, anzi sei schiava. Sei schiava in particolare perché dipendi dal tuo patrimonio genetico, in generale perché dipendi dagli schemi specifici della tua specie: non conosci il linguaggio degli elementi e delle altre specie. Ora comunichi con me perché io lo desidero, non crederai che sia stato quello che voi umani chiamate atto di volontà a portarti qui nel mio bosco, nel mio nulla.
Milla. Ammetto di non essere stata gentile con te, ma ora tu umilii la mia intelligenza, il mio libero arbitrio. In fondo è da tanto che desidero indagare i fenomeni della natura che vengono definiti misteri. E poi, tu che sembri così saggio, dovresti sapere che amo la tua specie forse più di me stessa.
Albero. Va bene, hai superato la prima prova: ti ho volutamente indotta a comportarti con umiltà, con l'umiltà del ricercatore scientifico, che è l'atteggiamento indispensabile a chi vuole incamminarsi sul mio sentiero.
Milla. Sembri sicuro di quello che dici. Non osservi gli eventi, li determini. Mi accorgo che hai diversi modi di comunicare, tutti comunque, come dire, elevati.
Le Foglie. Non ti è chiaro, poveretta, che l'albero si diverte come un piccolo mago nella fucina di Vulcano, va in cerca di un laboratorio per i suoi esperimenti e tu ti presti al gioco. Sente ciò che vuole sentire, perché è lui l'ascolto e la parola.
Albero. Sì, hai ragione. Le mie fronde si intersecano con molti piani o livelli di energia, tutti diversi fra loro. Ognuno di questi livelli contiene messaggi specializzati che mi giungono senza sosta, perché continuo è il mio ascolto. Hai presente la tela di un ragno? Io vedo così questi piani. Gli uccelli possono posarsi sui fili immateriali dei piani e farli vibrare, qualcuno sa fare anche di più. Ieri ho visto un giovane cardellino entrare nella rete e inoltrarsi in un filo; era velocissimo, una luce rossa inglobava le sue forme, poi la forma si è dissolta e a me è parso di vedere solo una figura geometrica che non saprei nominarti. Certo non si trattava di quella geometria che voi chiamate euclidea, era piuttosto una spontanea geometria dell'incanto.
Milla. Tu continui a parlarmi della tua capacità di comunicare con le altre specie, mi parli della saggezza dei tuoi amici uccelli che sono in grado di dissolversi nell'estasi, ma non ti prendi cura di me. Ho tanto bisogno che qualcuno mi accolga e mi istruisca. E tu, con quell'aria così sapiente e ingenua, sembri il tipo giusto per me.
Albero. Non vorrei sembrare indifferente alle tue esigenze, ma ritengo che tu debba osservare da sola gli elementi della natura e da sola esperire le risposte. Io posso solo indicarti qualche possibilità di esplorazione. Vuoi forse che mi trasformi in uno di quei pedanti maestri pieni di boria che si beano di quello che dicono per rinvigorire il loro delirio di onnipotenza; oppure mi vorresti come quelli che non insegnano niente di nuovo agli allievi, anzi fanno loro i compiti perché conoscono solo le risposte ma non il modo per ottenerle? Inoltre io non sono la tua stampella né tantomeno il tuo angelo custode. Non è più tempo di maestri. Io potrei suggerirti una splendida relazione da presentare a un congresso, ma tu non ne trarresti alcun beneficio; rischieresti anzi di allontanarti definitivamente da me. Mi sembra di averti già detto che devi inoltrarti da sola fra gli indizi che io vorrò lasciarti. Prova a raccogliere una castagna e a gustarla.
Milla. Sai proprio tutto della mia vita, eppure ho l'impressione che tu ti stia burlando di me. Sei arrivato quando meno pensavo di poterti accogliere, e poi ti sei imposto incurante della mia insofferenza. Io non ti comprendo né desidero farlo, sei un mostro orribile. Pensi davvero che io sia primitiva al punto da imparare qualcosa da te gustando i tuoi frutti? Mi fai venire in mente quell'imperatore africano che mangiò il cervello di un inglese, convinto che grazie a quel pasto ne avrebbe imparato la lingua. Ci sono persone sentimentali, certo meno cruente, che si curano gli stati d'animo ingerendo essenze di fiori, altre più pratiche che bevono tisane convinte di poter ottenere qualche sollievo fisico. Io credo che tutto questo sia una forma di rozzo e ancestrale animismo. A me non basta bere e mangiare per capire, voglio qualcosa di più convincente che mi liberi dalla schiavitù delle sensazioni del corpo. Credevo che tu potessi aiutarmi, invece mi indichi i soliti mezzucci.
Albero. Brava! Cominci a capire. è così che ti voglio, battagliera e sospettosa. Hai avvertito l'insidioso messaggio della castagna. Il mio frutto non ha la pretesa di curare, desidera solo informare; è l'epifania di un messaggio semplice e delicato, un'energia racchiusa in una forma seducente. Pensa a come hai fatto a raggiungermi. Le castagne hanno attratto la tua attenzione, ti sei riempita le tasche dei miei frutti e nel raccoglierli hai ringraziato la terra e formulato anche progetti che mi sono piaciuti. Ammetto che mi sono per un momento inorgoglito. Tu dicevi: "Questa la metto nella borsa, quest'altra sulla libreria, una la regalo a Silvia, un'altra a Maurizio". Come d'incanto provvedevi a spandere le mie conoscenze. Ricordati che tutto quello che attrae la nostra attenzione è un messaggio preciso, una comunicazione sottile, perché si svolge in modo esclusivo fra il soggetto e l'oggetto a vicenda attratti. Fra i due avviene un riconoscimento che produce una crescita del potenziale energetico necessario per la comprensione. In altre parole, è stata un'azione, casuale solo all'apparenza, che tu hai compiuto come un rito; hai riconosciuto in quell'atto l'archetipo di un gesto a te caro e l'hai istintivamente riprodotto, e ciò ti ha permesso di aprire un'altra finestra sul mio mondo.
Milla. Ma che dici. Ho raccolto le castagne perché mi piace il loro aspetto e il loro contenuto. A ben pensarci, però, mia nonna diceva che combattono l'influenza, specialmente quelle selvatiche. Ricordo che ne teneva sempre una in borsa.
Albero. Non vuoi proprio capire. Sei troppo testarda. Mi ero illuso che l'angoscia che ti ha indotto a spiccare il primo salto fosse feconda, fosse l'inizio di un bel dialogo dalla finestra sul cosmo. Invece volevi solo cambiare aria per un po', come si fa al mattino nelle vostre scatole.
Milla. Mi stai seccando. Ora pretendi di conoscere anche i fatti miei, i miei pensieri, i miei sentimenti, forse persino i miei sogni e le mie speranze? Che ne sai tu dei miei salti? Ti dirò di più: sono stufa di procedere come un canguro, è estenuante, mi costa una fatica inenarrabile. E poi sono sempre salti sull'orlo di un precipizio; è come se non avessi scelta, o saltare o annegare. Vorrei camminare fresca su una strada larga e piana, tra due filari di sicomori, fermarmi ogni tanto alla stazione della posta per rifocillarmi, e ripartire leggera. Vorrei vedere di fronte a me la meta e raggiungerla, magari. Vorrei che fosse sempre giorno.
Albero. Già, e magari infilarti in tasca la luna e le stelle, privarmi della notte e costringermi a non liberarmi mai dai veleni degli uomini. Smettila di dire sciocchezze e ascolta. Il mio antico compito consiste proprio nella purificazione dell'aria che respiri e dei pensieri che produci. Non sono un ciarlatano, non ho la pretesa di leggere nel pensiero, sono solo intelligente in un modo molto speciale, come si conviene alla mia specie. Mi sono limitato ad ascoltare i tuoi discorsi. Sai, sono curioso, mi affascinano soprattutto le storie di donne. Di tanto in tanto vi spingo a riconoscere i pensieri della natura, e allora allungo le mie orecchie fino a voi perché mi piace osservare i cambiamenti che tali pensieri producono sulla vostra specie, siete così facili da leggere. Scelgo sempre io. Ieri ti ho sentito dire a Silvia che non volevi più permettere all'angoscia di piantarti in testa i suoi chiodi arrugginiti, hai usato proprio queste parole. Poi, con una svolta di pensiero, hai aggiunto che è troppo facile abbandonarsi al dolore, infine hai giurato che ti saresti limitata a osservare, se possibile a comprendere, e a sospendere il giudizio; cosa che a me sembra assai complicata e forse ancora più dolorosa dell'angoscia. Le tue parole, risuonando con forti vibrazioni, hanno scosso i miei rami, il tuo aspetto penoso mi ha velato lo sguardo. Sì, per un attimo ho pianto. Il tuo dolore mi nutre, mi apre a te. Infatti, mentre pronunciavi quelle parole ti sei affacciata alla finestra che dà sul mio nulla e io non ho potuto fare a meno di intervenire.
Milla. Tu mi parli di piani, di geometrie, di finestre, persino del nulla. è troppo per me, non ce la faccio a seguirti.
Albero. Di nuovo mi mostri la tua incapacità di svincolarti dai condizionamenti culturali. Tu attribuisci troppa importanza ai nomi, carichi il tuo linguaggio di un significato filosofico, e così facendo svilisci lo scopo della comunicazione. Ti prego, liberati dal nominalismo se vuoi continuare questa conversazione. Finestre, piani, geometrie sono simboli, immagini acustiche che ti porgo perché ancora non sai leggere i codici delle cellule, come io so fare.
Milla. Va bene, accolgo anche questa critica, ma il nulla? Il tuo bosco e il tuo sentiero sono solo immagini per definire il nulla?
Albero. Il mio mondo è reale perché vede la nullità del tuo e conosce la nullità del tutto. Chiamare Nulla il mio bosco è un vezzo che mi concedo dopo avere a lungo navigato nelle illusioni del mondo finito. Da quando abito altri spazi so che ci sono tanti livelli, tante scatole che, una nell'altra, occupano spazi finiti. Lo spazio assoluto è il Nulla supremo, ma puoi chiamarlo anche il Tutto. è lo spazio dove non esistono colori, immagini, suoni; dove tutto è progetto, dove tutto deve ancora nascere eppure già esiste. Vedi di non confondere il Nulla con il vuoto assoluto. Il Nulla è tale perché privo di forma, quindi privo di fisicità; contiene però un sommo bene: l'idea. Un tempo ho vissuto anch'io il tuo sogno; ho collaborato al progetto dell'evoluzione nello spazio-tempo, arrivando quasi al punto di estinguere la mia specie. Poi ho scoperto che la mia morte e quella dei miei fratelli procurava nuove informazioni, portatrici di salvezza.
Milla. Non ti sembra di esagerare? Quello che dici offende la religione degli uomini. Parli come un eretico, capisco perché sei finito bruciato.
Albero. Molti uomini seguono religioni cosiddette rivelate, io seguo la religione della mia specie, e questa è una religione evoluta che parla con codici chimici, fisici e meccanici. Tu dici di amarmi, eppure non mi conosci. Ci fu un tempo in cui tutta la mia specie fu minacciata da una grave malattia che, come accennavo prima, ci portò a un passo dalla sparizione; ma alcune piante, prima di morire, riuscirono e emettere polloni immunizzati in grado di tramandare una specie sana. La malattia e il sacrificio di molti miei fratelli hanno concesso ad altri di vivere, e di vivere meglio. Come puoi capire non si tratta solo di degenerazione dei processi, ma di induzione di nuovi schemi: talvolta la tanto temuta malattia puntella il corpo e costruisce le fondamenta della guarigione. Per adeguarsi ai codici della malattia le cellule devono allargarsi alla comprensione dei processi verticali, che sono gli unici in grado di aggirare sofferenze e malattie. L'evoluzione nella dimensione orizzontale può sembrare crudele ma, se l'individuo non è in grado di oltrepassare il margine, non ha altra scelta: deve provare e sbagliare per capire.
Milla. Immagino che per accedere alle informazioni del tuo nulla occorra prima aprire un notevole numero di finestre. A proposito, quante ne avrei aperte io?
Albero. Per ora solo due, ma se non cambi il tenore delle tue domande chiedo al vento di richiuderle.
Milla. Scusami, forse ho esagerato. Ti prego, lasciami capire, aiutami. Non riesco a trovare il punto di equilibrio fra i tuoi e i miei pensieri. Da un lato mi sento razionale come un illuminista, dall'altro vibro con te, sento le tue parole provenire dal mio corpo, non sempre riesco a comprenderle, però riesco a vederle: sono colori e forme e profumi e suoni e canti. è un salto continuo della mia mente tra l'uno e l'altro stato di coscienza. E io sola so quanto mi è duro questo salto.
Le Foglie. Quanto è greve il mondo delle forme. Pensare sempre alla fatica, temere sempre di non comprendere. Tutto vi rende complici. Svelti, accordate i vostri strumenti.
Albero. Adesso non esagerare, non essere troppo impulsiva, non vorrai aprire insieme tutte le finestre. Intanto, per cominciare, ti servono entrambi i punti di vista. La ragione serve a uscire dallo stato di minorità dovuto all'ignoranza e i sensi, traducendo le informazioni fisiche, approntano la coscienza all'espansione. Ciò però non è abbastanza, talvolta bisogna schermare la luce quando il sole è ancora alto per ascoltare accordi e colori non noti. Andiamo per gradi. Prova a pensare al sentimento che la vista oltre il margine ti procura.
Milla. Credo di stare un po' meglio del solito, affacciata a questa finestra. Non sono in grado di spiegare che tipo di sentimento provo, posso andare per esclusione; so che non è paura, non è dolore, non è_
Albero. Non vorrai tediarmi con questo sterile elenco, hai forse paura di pronunciare la parola gioia?
Milla. Non è proprio gioia, c'è anche un po' di malinconia. Mi sento bene perché sto con te, però mi manca il mondo dentro il margine.
Albero. Non sei condannata a subirmi a vita, sei libera di rientrare nel margine e poi di tornare da me come e quando vuoi. Devi solo imparare il modo giusto per farlo. Credo che vivrò ancora per millenni, pertanto hai tutto il tempo per andare e tornare. L'importante è che tu mantenga dilatato lo sguardo.
Milla. Ricominci con i tuoi giochetti. Schermare la luce, dilatare lo sguardo! A te sembra tutto facile. Tu puoi vivere millenni, io ho un'età anagrafica assai angusta. Tu sei sempre fresco e aulente, io invece compio un grande sforzo nel prestarti attenzione e, sai, noi umani bruciamo calorie, temo che una piccola distrazione possa ricacciarmi per sempre nel guscio.
Le Foglie. Quante parole ci stanno rubando quei due. Possono entrare, se lo vogliono. Il segreto è trasparente.
Albero. Finalmente un po' di variazione! Ti sei decisa a usare altre parole. Prima hai parlato di salto, e hai anche detto che questo salto è molto aspro. Io desidero che tu impari ad aprire le finestre sul margine senza fatica, con un tocco carezzevole. In fondo è come accendere un interruttore, basta un clic. La fatica che dici di provare è solo una creazione mentale. Produce sofferenza senza darti la forza di porre le giuste domande. Ciò ti può servire per evolvere tra prove ed errori nello spazio-tempo, per illuminare nuovi schemi fisici, ma non per aprire le finestre sul mio mondo, quindi sui miei schemi.
Milla. Anche tu, che non sei sogno, che non sei fisico, che sei il nulla, hai degli schemi?
Albero. Ti attacchi di nuovo alle parole, ti ho già detto di andare oltre. Dal momento che ho delle funzioni sono anche uno schema, questa è logica. Uno schema che voi chiamate trascendente, ma pur sempre uno schema. Ti dirò di più, io vivo nel mio schema, sono immanente al mio schema.
Milla. Sei abilissimo a confondermi le idee, non altrettanto a spiegarmi i processi. Ti prego, dimmi come posso fare a impostare quel clic.
Albero. Posso provare a fornirti degli indizi. Innanzitutto ricordati che l'atteggiamento deve essere lieve, non voglio nevrotici e inetti, altrimenti chiudo per sempre la finestra. Quando sei arrivata qui dopo avere raccolto la prima castagna sei diventata serena, intonavi antiche melodie, ballavi, e prima di riporre la castagna nella borsa l'hai baciata.
Milla. è stata una mossa istintiva; mi piace baciare i fiori, i gatti, i bambini e le castagne. Mi viene in mente che quando ero piccola mia nonna mi faceva sempre baciare il pane prima di pranzo, diceva che il bacio racchiude una preghiera completa.
Albero. Simpatica questa nonna che colleziona castagne e non tedia i bambini con lunghe e artificiose preghiere. Cominci a intuire il senso del tocco lieve? Ammetti di avere provato gioia quando hai aperto la seconda finestra?
Milla. Però ieri, quando parlavo con Silvia, non mi sentivo così bene.
Albero. Ma quella cupa sofferenza ti è servita ad aprire la prima finestra.
Milla. Dolore e gioia servono dunque a muovere i primi passi. Credevo di saperlo già, non mi stai insegnando alcunché di nuovo.
Albero. Convengo che sono infinite le cose che conosci, mia cara, tuttavia non conosci l'infinito.
Milla. Adesso usi anche i giochi di parole per burlarti di me. Io appartengo al finito, il mio corpo è fatto di materia, l'anima non esiste, e se esiste è fatta di materia come il mio corpo, dunque è destinata a morire. Ne consegue che io non posso comprendere ciò che tu chiami infinito, purtroppo non ho gli strumenti per farlo.
Albero. Dimentichi con chi stai parlando. Io albero ho attivato la corrente di codici che ti libera dalle catene del tuo mondo, i miei rami spolverano i tuoi neuroni sonnacchiosi, le cellule del mio midollo che vivono in te ti consentono di entrare nel ciclo dell'esistenza e di trasformarti, il mio respiro traduce i tuoi veleni in ossigeno e trasforma l'energia vitale in sapere, gli effluvi intimi del mio legno corroborano le tue forze infiacchite dal benessere, il mio aspetto rischiara il tuo sguardo obnubilato da immagini stantie.
Le Foglie. Ecco che le domande si intersecano con le risposte. Il disegno latente a poco a poco si colora delle idee trasformanti.
Milla. Perdonami, se puoi. Sono stata sciocca, per un attimo ho dimenticato di essere qui, mi rivolgevo a te come a un individuo della mia specie. Prendendoti cura di me mi fai sentire fragile, e il riconoscere i miei limiti mi provoca sempre una reazione spropositata; non riesco a soffocare l'orgoglio che emerge violento quando più cerco di tenerlo a bada.
Albero. L'orgoglio è quella mala pianta che impedisce di riconoscere gli stati di grazia che gli alberi della mia specie offrono a tutti indistintamente. L'idea cerca sempre di essere attivata, cerca di andare verso la mente che richiede il suo contenuto. Io, così pieno di energia e di informazioni midollari, sono il ponte fra domanda e risposta. Pensa al disegno che ci unisce: i prolungamenti nervosi usano lo schema dell'albero; in fondo anche l'uomo ha molte strutture analoghe alle mie. Sei una brava allieva, ma ti interroghi ancora troppo sui tuoi umori. Prova ad andare all'essenza dei fatti, non fermarti all'apparenza. L'orgoglio e le nevrosi sono apparenze, vai al nocciolo. Elimina i pensieri della tradizione, svincola tutti gli aspetti molli dall'essenza intima del tuo io e guarda nei solchi, nelle orme, negli stampi delle idee: l'immenso è là, nelle profondità abissali, nel silenzio della mente, come nell'armonia di suoni che ricordano ai pianeti le leggi dell'equilibrio. Rivolgiti poi agli oggetti vicini, guarda la mia corteccia, anche lì c'è una storia.
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