Introduzione
Il buco nero dell'idealismo
(Terra da arare)
Il buco nero dell'Oriente mitizzato (Lo sguardo da turista)
Il buco nero dell'impazienza
(Piccoli passi ad andatura costante)
Il buco nero della mente competitiva
(Sturarsi le orecchie)
Il buco nero dei giudici interni
(Disinnescare la bomba emotiva)
Il buco nero dell'eroismo
(Celebrare la vita)
Il buco nero degli schemi difensivi
(Senza corazza si stramazza?)
Il buco nero della dipendenza dal maestro
(Confida nel tuo cor e in tua esperienza)
Il buco nero della disidentificazione
(Necessità necessarie e necessità superflue)
Il buco nero della sessualità sublimata
(Politiche energetiche intelligenti)
Il buco nero dell'importanza personale
(Discriminazione e gratuità)
Il buco nero dell'individualismo (Scappare non serve)
Buco bianco
PASSI SCELTI
I buchi neri sono luoghi nell'universo dove la materia ha un tale livello di concentrazione e produce una forza gravitazionale così potente che qualunque oggetto vi entrasse non sarebbe più in grado di uscirne. Intorno ai buchi neri c'è una linea di confine chiamata in modo affascinante orizzonte degli eventi: è il punto di non ritorno, superato il quale nessuna particella potrebbe tornare indietro.
Data la mia completa ignoranza in materia, l'idea mi ha portata a fantasticare su questa specie di mastodontica bocca che ingoia voracemente tutto, luce compresa.
Così è nata la similitudine con gli ostacoli disseminati sul cammino spirituale, che possono diventare veri e propri buchi neri quando si supera l'orizzonte degli eventi dei propri limiti, della disattenzione o della superficialità.
Ho sottolineato certe potenziali trappole per “fotografare"alcuni aspetti che possono creare false aspettative o condurre su strade accidentate, non permettendo alla luce di manifestarsi. Si tratta di elementi che hanno fatto parte del mio cammino o lo hanno sfiorato, e che ho visto presentarsi su quello di altri “viandanti"; sono pensieri e valutazioni che desidero condividere con chi si sta sperimentando su queste strade.
Ho parlato dello yoga perché è il percorso che mi ha permesso di crescere e che sa sposare lo spirito scientifico della nostra era con il bisogno di spiritualità autentica e profonda. Molte di queste considerazioni si potrebbero però riferire a qualunque cammino di ricerca interiore, perché si tratta in gran parte di modalità con cui si affrontano le cose: qualche volta aspetti ricorrenti della personalità, in altri casi fasi passeggere.
Ho cercato di lanciare qualche sorriso dentro ai buchi neri, perché sono convinta che i volti severi non ci aiutino a crescere. Anche perché una risata, dopotutto, ci dà la meravigliosa opportunità di sbloccare il diaframma e, di conseguenza, di respirare!
Ringrazio tutti i maestri, vicini e lontani nel tempo, nello spazio e nell'etere, che mi hanno guidata sulle strade della ricerca spirituale; gli insegnanti che mi hanno trasmesso la pratica dello yoga e della meditazione; tutti coloro che mi hanno dato modo di imparare attraverso il confronto e di conoscermi più in profondità.
E ringrazio tutte le persone e le esperienze di vita che mi hanno fatto comprendere che la strada verso la consapevolezza è lunga e a volte tortuosa, ma anche se il traguardo finale sembra molto lontano vale sempre la pena incamminarsi.
Lo sguardo da turista
Nella gran parte dei casi si approda allo yoga dopo qualche delusione. Delusi dal consumismo, dal comunismo, dal marito, dall'amante, dalla migliore amica, dalla tivù, dal capufficio, dall'aerobica, dai medici, dalla malattia, dalla morte.
Spesso si è in cerca di un'alternativa che non si porti appresso il ricordo dell'oratorio dove potremmo avere incontrato qualche prete dalle vedute ristrette che ci sotterrava sotto cumuli di sensi di colpa. Altre volte si cerca un modo per riempire di significato la vita, in questo Occidente rosicchiato dal tarlo dell'insoddisfazione di massa.
Quindi lo yoga affascina. Il suo nome porta con sé l'eco della mitica India, immagine cristallizzata nei ricordi infantili come un luogo dove tutte le magie erano realizzabili, dove si trovavano a ogni angolo i saggi pronti a indirizzare il viandante sulla giusta via. Al punto che, se da grandicelli non l'avessimo vista con tutti i suoi orrori e ingiustizie sociali, crederemmo davvero sia un luogo dove alberga solo spiritualità.
Quando per la prima volta sentii parlare di stati diversi di coscienza, reincarnazione, evoluzione spirituale, ero affamata di risposte sul significato dell'esistenza. In quel periodo mi si presentò l'opportunità di fare un viaggio in India, e senza sapere cosa andassi cercando non esitai a partire per un bel bagno di spiritualità alternativa, come si conviene in questi casi.
Trovai palazzi da incanto e gas di scarico in quantità industriali, commercianti avidi e occhi rassegnati, odori penetranti e suoni mistici, mortificazioni sociali e sacralità maestose, sospesi tutti insieme in ogni metro quadrato di quella terra di contraddizioni. Soprattutto, scoprii per la prima volta la realtà della lotta quotidiana per la sopravvivenza, provando un immane senso di vergogna al pensiero degli insuperabili fustini di detersivo che traboccano dalla nostra vita di garantiti.
Insieme a tante immagini sbiadite dal passare degli anni, è rimasto indelebilmente impresso nella mia memoria il ricordo di un cadavere che si consumava sulla pira funebre dei ghat di Benares. Trascorsi tre ore con lo sguardo fisso su quel corpo, mentre intorno i bambini giocavano a prendersi, le donne lavavano i panni nell'acqua dove cadevano le ceneri, i venditori di seta e gli spacciatori di hashish prendevano d'assalto i turisti.
Fu il contatto con la morte sentita per la prima volta come un fatto facente parte della vita e non separato da essa, come un momento di transito verso un nuovo livello di coscienza. La morte così vicina e così naturale, di fronte alla quale non si poteva far altro che continuare le faccende di sempre, come quel brulichio di persone.
Cosa c'entra tutto ciò con l'India e con lo yoga? Nulla, perché la morte è ciò che accomuna tutto il genere umano, dal polo nord al polo sud. In quel momento pensai che in India mi fosse stato possibile entrare in contatto così profondo con quella dimensione perché quel luogo e quella particolare cultura era intrisa di spiritualità, ma oggi so che se ho provato sensazioni così profonde rispetto all'unità fra la vita e la morte è stato grazie allo stato di coscienza con il quale guardavo, grazie a un tipo di sguardo non contaminato dai giudizi e dai pregiudizi che solitamente accompagnano la vita di tutti i giorni. Quella modalità aveva sollecitato in me emozioni profonde che non si sarebbero manifestate in maniera così dirompente se qui in Italia fossi andata in un cimitero, perché avrei eretto le abituali barriere di difesa contro la sofferenza che limitano fortemente l'apertura interiore. In realtà, il motivo dello schiudersi del mio essere verso il mistero della vita e della morte, percepito come un ciclo continuo in cui non vi è separazione, andava ricercato semplicemente nel mio sguardo da turista.
è quello sguardo “pulito" che permette di vedere il mondo come una scoperta continua, come un territorio sconosciuto dal quale c'è tutto da imparare, affascinante e colorato di mistero, di trascendenza, di magia. è lo sguardo che nello scorrere della vita quotidiana perdiamo cento volte al minuto, assorbiti dalla necessità di fare anziché di essere. è lo sguardo che rimane imprigionato dalle nostre emozioni compulsive e dal nostro giudizio, che non riesce a manifestarsi quando siamo immersi nella sofferenza e nei bisogni vitali insoddisfatti.
Ecco cosa accade nel mondo interno quando si è del tutto aperti e ricettivi, pronti ad accogliere il nuovo: si può sentire, si può scendere in profondità, si riescono a percepire sfumature altrimenti sepolte nelle pieghe della coscienza. Questa possibilità non è patrimonio di una cultura o di un'altra, ma una potenzialità reale di ogni essere umano, in India, in America o a Timbuktu. Specialmente per noi occidentali, abituati ormai a vivere in un ambiente sovraccarico di realtà virtuali, riscoprire e gustare la realtà “reale" e vicina diventa un autentico viaggio di piacere, in grado di stupire e affascinare non meno che un viaggio in India!
Così come è facile mitizzare l'Oriente, può capitare di accostarci allo yoga con l'illusione che aderire a un nuovo approccio intellettuale o a nuove regole sia sufficiente a fornirci la soluzione dei nostri problemi esistenziali. Sebbene il mezzo di trasporto utilizzato sia importante, talvolta dimentichiamo che a condurci alla meta è solo la nostra volontà di procedere. Qualora venisse vissuto come un nuovo dogmatismo, lo yoga potrebbe diventare un comodo rifugio in cui nasconderci, una via di fuga dalla realtà, una nicchia dorata che non porta frutti, non meno di tutte le religioni, dottrine e filosofie.
All'inizio, può accadere di divorare quintali di libri sull'argomento e di cibare la mente con parole tanto affascinanti perché piene di k, y, j, per poi scoprire che quelle stesse verità erano già state proclamate a gran voce dai santi “nostrani" Potremmo essere tentati di imparare tutti i mantra parola per parola illudendoci di avere trovato la formula magica, di rinnegare la cucina mediterranea invidiata in tutto il mondo obbligando il nostro povero palato a sapori sconcertanti, o di seguire come pappagalli alcune indicazioni senza tener conto del contesto in cui sono nate.
Diverso è riuscire a cogliere la saggezza di questo sistema di pensiero e scoprire come la sua profondità di indagine possa trasmetterci efficaci strumenti per la crescita interiore, importanti spunti di riflessione e grandi possibilità di ampliamento del nostro limitato punto di vista. Diverso è fare spazio mentale a nuovi modi di concepire l'esistenza e permettere loro di venire integrati e metabolizzati alla luce della nostra cultura e storia personale.
è importante lasciarci guidare soprattutto dal sentire profondo per scoprire cosa serve davvero a noi e in questo preciso momento, in modo da non vivere la ricerca spirituale come un obbligo o una restrizione. Significa saper individuare dentro di noi quando una passeggiata in un bosco è in grado di darci una pace più intensa che praticare determinate tecniche di risveglio spirituale; quando zappare la terra ci ricongiunge con madre natura più direttamente che la recitazione di un mantra; quando condividere una cena con gli amici più cari ci rende più ricettivi che dieci giorni di silenzio in un monastero.
Perché ciò che può dare alla vita l'incessante sapore dello sguardo da turista non è tanto cosa, ma come si fa: un come in armonia con la necessità profonda di scoprire la verità interiore.
Disinnescare la bomba emotiva
Lo yoga permette di imparare a orientare a poco a poco la mente verso l'osservazione consapevole dei suoi moti. La pratica stessa degli åsana, oltre a svolgere una funzione di riequilibrio fisiologico, è anche un efficace strumento educativo per la mente.
Quanto più in una postura impariamo a osservare il corpo e le tensioni senza dare giudizi di valore sulle prestazioni fisiche, tanto più ci scopriremo capaci di affrontare serenamente il mondo interno senza venire travolti dalla sua complessità.
Attraverso questa pietra miliare e l'accentuata capacità di discriminazione che ne consegue, sorge di conseguenza una maggiore libertà dalle risposte emotive da cui siamo facilmente soverchiati. Possiamo imparare a riconoscere a poco a poco i meccanismi che ci fanno reagire in virtù di abitudini mentali negative per la salute psichica e limitanti nel rapporto interpersonale, spesso causa di notevole sofferenza.
La mente è stata definita “una scimmia impazzita". Infatti chiunque abbia dedicato qualche tempo a osservare i propri moti mentali sa bene come talvolta nel giro di un minuto il pensiero possa trasferirci, in maniera più veloce della luce, da stati di esaltazione gioiosa a stati di depressione profonda, di apatia o tristezza. Sorge quindi il problema di come prendere le distanze dalla continua alternanza di stati d'animo mutevoli che ci succhiano ogni energia: come renderci liberi da questa altalena che spesso conduce a stati di ansietà o di inerzia, impedendoci di vivere nella concretezza del momento presente?
Per addomesticare una scimmia occorre essere molto attenti e non avere fretta, in quanto escogiterebbe migliaia di trucchi molto scaltri per sfuggire alla cattura; inoltre, per studiarne le abitudini è necessario osservarla dalla giusta distanza per non spaventarla. Questo atteggiamento di fondo è ciò che prende il nome di vairågya, cioè il distacco.
Lo yoga propone un training di autoeducazione mentale che parte dallo sviluppo dell'attenzione momentanea fino al progressivo ampliamento per più lunghi periodi. Attraverso la concentrazione della mente si può iniziare a percepire un minimo di quiete interiore, necessaria per affrontare fruttuosamente la meditazione. Esistono pratiche meditative incentrate su oggetti esterni, su valori specifici, sulla visualizzazione di immagini o simboli, ed esiste anche la pratica buddhista chiamata vipassanå, visione profonda, dove dobbiamo occuparci solo di essere consapevoli di ciò che è presente nel nostro mondo interno.
Quando escludiamo gli stimoli esterni e rimaniamo in osservazione dei pensieri, l'atteggiamento corretto dovrebbe essere simile a quello del cineamatore. Possiamo guardare un film in tanti modi diversi: tenendo gli occhi sullo schermo e pensando ad altro, immedesimandoci nella vicenda e partecipando emotivamente con lacrime, risate, paura o ansietà, identificandoci in misura diversa con i vari personaggi. Possiamo però anche guardare un film con un atteggiamento del tipo: “Io sono l' e lo schermo e là"; in mezzo c'è una distanza, e proprio per mezzo di questa distanza è possibile cogliere l'interezza del film, godere di dialoghi, fotografia, colonna sonora e interpretazione, senza identificarci per forza con la vicenda. E se ciò avviene, ci rendiamo consapevoli dell'identificazione stessa.
Ecco, questo dovrebbe essere il corretto atteggiamento del praticante. Quante volte però, durante mezz'ora di meditazione, anziché osservare i pensieri in questo modo, ci lasciamo sballottare come una barca a vela in alto mare, oppure perdiamo la dimensione dell'osservatore per diventare attore? E quando dobbiamo sorbirci un film melenso o un film dell'orrore? E quando i protagonisti cominciano ad azzuffarsi parlando in contemporanea? Uno sfacelo! E noi che pensavamo di trovare pace e invece abbiamo trovato confusione, avversione, attaccamento, insofferenza, pigrizia!
Un personaggio che spesso in questi film ricopre il ruolo di protagonista è il giudice interno, un buco nero in grado di risucchiarci come fossimo un sassolino a spasso per l'universo, mandandoci in gattabuia in men che non si dica. Per confermare la sua tesi il giudice utilizza i nostri punti deboli, sensi di colpa, di inadeguatezza, mania di grandezza o ambizione; spesso fa anche l'avvocato esibendo un nutrito numero di prove a favore o contro l'imputato per convincerci della verità assoluta delle sue parole, ci presenta argomentazioni tratte dal passato, impedendoci di guardare il film senza pregiudizi e preconcetti. L'abitudine al giudizio e a schierarci a favore o contro qualunque cosa è talmente radicata da rendere arduo il compito di mantenerci osservatori consapevoli e distaccati senza che intervenga quel tizio con la toga!
Incontriamo tanti tipi di giudici diversi a seconda del momento, della situazione, del nostro modo di essere, del carattere, dell'approccio verso la ricerca spirituale. Fra le varie tipologie autogiudicanti, potremmo anche fare conoscenza con un “gip" (giudice interno di pace), austera e saggia presenza che può ricordarci di prendere la distanza da sentimenti ed emozioni, parlando attraverso i princìpi morali in cui crediamo o che ci sono stati impartiti. Allora diventa difficile controbattere!
Cuore infranto
meditante Ho solo voglia di piangere, non ce la farò mai a riprendermi da questa batosta. Io credevo nell'amore, nella comprensione, nella sincerità.
gip Tutto è impermanente.
meditante Non ce la farò mai. Abbandonata da un giorno all'altro, e lui sparito ai Caraibi con la segretaria, le chiavi di casa e il libretto degli assegni, senza neanche lasciare un recapito.
gip Ai gigli del campo non occorre altro abito e agli uccelli del cielo non occorre casa per essere degni del regno dei cieli.
meditante A dir la verità mantenevo lui e la segretaria. Ha avuto pure il coraggio di riprendersi i regali che mi aveva fatto, che rabbia!
gip La rabbia non è altro che lo specchio del tuo attaccamento.
meditante A me bastava solo averlo vicino. Lo amo ancora. Io ho messo il mio cuore nelle sue mani per tanti anni, e ora neanche un grazie.
gip L'amore vero non si aspetta ricompense, e le prove più difficili sono un'opportunità di crescita.
meditante Sì, lo so, ma” e se avessimo potuto crescere insieme, scambiandoci baci e carezze?
gip Tutto è illusione: sentimenti, emozioni, desideri, attrazioni.
meditante Ho capito: mi faccio suora.
A parte gli scherzi, anche la saggezza di qualche “gip" che ci offre risposte sopra le parti potrebbe diventare un vero e proprio buco nero, qualora per aderirvi arrivassimo a soffocare dentro di noi rabbia, passione e desiderio nell'intento di prenderne le distanze. Per raggiungere mete di calma ed equanimità è necessario passare attraverso l'acquisizione dell'autocontrollo, ma quando questo viene equivocato con “soffocamento" si trasforma in un grande limite all'espressione della personalità. Mettendolo in atto correttamente, la persona più irruente impara invece che può contare fino a dieci prima di parlare; la persona più irascibile si allena a modificare le reazioni; la persona più istintiva prova a riorientare le passioni disordinate. Non significa operare una rinuncia nei confronti delle nostre spinte interiori bensì non identificarci con esse: imparare a gestire le emozioni è completamente diverso dall'inibirle, ma è facile dimenticarcene.
Anche se a prima vista è più semplice reprimere o negare ciò che è scomodo o difficile, uno sviluppo armonico dell'intera personalità non può avvenire se ci ostiniamo in quell'atteggiamento. Le insoddisfazioni sopite forzatamente, i moti interni soffocati, le tristezze negate possono diventare vere e proprie bombe inesplose che ci saturano e comprimono, facendoci cadere in un buco nero in grado di inghiottire le nostre stesse capacità di reazione. è possibile curare amorevolmente quei sentimenti negativi solo attraverso l'accettazione della loro esistenza. Le emozioni e i sentimenti repressi e inespressi possono trasformarsi in fonte di disturbi di vario genere e avere con l'andare del tempo ripercussioni sul corpo capaci di tradursi in malattia. Oppure potremmo cadere in uno stato di paralisi emotiva e costruire corazze così spesse intorno al cuore da chiuderlo all'amore e alla fiducia o da renderlo incapace di perdono. Un sano pianto è invece in grado di ripulirci dalle tossine emotive che stringerebbero il cuore in una morsa. Dare una via di sfogo alla voce trattenuta può evitare di soffocarci. Mettere nero su bianco il dolore ci rende più forti nel realizzare il nostro volere.
Quando esprimere emozioni di forte negatività crea tensioni con chi ci sta vicino, possiamo sempre trovare modi alternativi di esternarle: ad esempio urlare in macchina dove nessuno ci sente, picchiare selvaggiamente un cuscino, riempire fogli di insulti, scaricarci con una corsa o convogliare le aggressività in qualche opera costruttiva. Non dare alla sofferenza la libertà di esistere significa chiuderla in una prigione ancora più dolorosa e impedire che la bomba emotiva venga disinnescata.
Quasi sempre è il nostro stesso auto-giudizio che ci limita nell'espressione delle emozioni, facendoci credere che alcune siano accettabili altre no, alcune sacre altre profane, creando ancora una volta una barriera di divisione al nostro interno, che non può portare altro che ulteriore sofferenza.
Dopotutto, se la spiritualità deve riuscire a portare il valore della pace qui, su questa terra, il primo “orizzonte degli eventi" da non superare è proprio quello di imparare ad accettarci per quello che siamo, sviluppando il coraggio di guardare in faccia anche i nostri aspetti meno piacevoli. Personalmente credo che a certe belle maschere di autocontrollo, spesso indossate da chi percorre strade spirituali, sarebbe meglio sostituire un volto sgradevolmente umano, forse meno affascinante ma sicuramente più vero. Potremmo così scoprire che il giudice interno può trasformarsi in un arbitro equo, capace di donarci compassione e perdono.
Come nei versi di una vecchia canzone:
IL BUCO NERO DELLA DIPENDENZA DAL MAESTRO
"Confida nel tuo cor e in tua esperienza"
Sul cammino spirituale è facile incontrare l'aspetto della dipendenza dal maestro, che può facilmente trasformare questa figura da sostegno in buco nero.
Camminando per le strade della New Age si possono incontrare maestri sensibili, ma si possono anche trovare persone per niente immuni dall'allettamento dei vari business che stanno nascendo intorno agli argomenti spirituali. Così si fondano nuove scuole di pensiero, si ripropone la scoperta dell'acqua calda con percorsi standardizzati all'americana, o si brevettano tecniche di “risveglio spirituale in ventiquattr'ore" dotandole di marchio registrato. Per tali motivi, ritengo che in questa nuova era in cui i veggenti si moltiplicano come funghi e si parla di cakra come se fossero caramelle, sia importante affrontare l'inflazione pseudo-spirituale coltivando uno spiccato atteggiamento da ricercatore disincantato.
è ovvio che certi pseudo-guru dei giorni nostri non girano con la tunica addosso e con l'aureola in testa, ma non è detto che si possano ritenere automaticamente esenti dal culto della personalità. In questo mondo governato dal decadimento dei vecchi valori e dall'incertezza dei valori nuovi, è sempre più pressante sia il bisogno di essere catalizzati da qualcosa o qualcuno, sia la necessità di unirsi attorno a un centro superiore al di sopra e al di là dei comuni travagli quotidiani. In certi ambienti dove il prâna scorre a fiumi nei discorsi di tutti i giorni, e chi non lo percepisce è un demodé, il rischio di rimanere intrappolati dal carisma di chi sa vendere bene merce esoterica è sempre più alto. Gli abbagli sono verificabili quando si valuta la pianta dai frutti che produce, ma è molto facile idealizzare chi ci offre grandi entusiasmi dettati dalla novità. Per fortuna il panorama non è così nero: ci sono anche ai nostri tempi persone che sanno trasmettere sinceramente il frutto di un percorso personale. In genere, si riconoscono da uno spiccato senso dell'obiettività, da uno scarso attaccamento all'esercizio del potere psicologico, dalla coerenza fra il dire e il fare (e il più delle volte dalle tasche vuote).
Ci sono momenti nella vita in cui può essere determinante per la crescita interiore trovare un sostegno esterno che offra nuovi stimoli, ma rimane il fatto che i momenti in cui si va in cerca di aiuto sono anche quelli di maggiore vulnerabilità. Siamo come spugne in attesa di assorbire nutrimento, ed è molto forte la predisposizione ad affidarci completamente a una persona che svolga il ruolo di consigliere, padre o madre, maestro di vita, guida spirituale. Se l'incontro con tale persona fosse vissuto con sudditanza psicologica scordando che il vero traguardo è l'incontro con il maestro interiore, quell'appoggio potrebbe capovolgersi in buco nero, ostacolando la nostra crescita.
Dopotutto, veri maestri sono coloro che insegnano a reggersi sulle proprie gambe e hanno chiara la consapevolezza dei propri limiti: perché mai dovremmo essere noi ad attribuire loro le doti di Superman? Queste aspettative, invece, nascono spesso nei confronti di chi scegliamo come guida, talora in maniera sottile e non riconosciuta, creando falsi miti e conseguenti delusioni. Non affermo che non vada bene avere un insegnante, uno psicanalista o un modello a cui tendere. Credo però sia fondamentale mantenere chiara la coscienza che a investirlo di quel potere è il più delle volte la mancanza di fiducia in noi stessi, in modo da evitare certe dipendenze psicologiche tanto più pericolose quanto più è grande il vuoto da colmare.
Attenti al guru
Il maestro godeva di fama internazionale nel trasmettere la conoscenza con una sola occhiata, e per incontrarlo c'erano liste di attesa più lunghe che all'imbarco per la Sardegna nel mese di agosto. Così al discepolo sembrò di toccare il cielo con un dito quando finalmente ottenne di essere accettato nella comunità traboccante di seguaci miracolati.
Si sa che i maestri adottano metodi insoliti, a volte anche incomprensibili, per condurre sulla giusta via i comuni mortali. Le geniali tecniche adottate consistevano nel rispondere alle domande con altrettante domande, cambiando argomento o mutando idea in continuazione. Quando veniva espressa una sana arrabbiatura di fronte alla mancanza di risposte coerenti, il maestro era abilissimo a recitare il ruolo della vittima, a mettere in atto subdole ripicche e a mortificare in qualche modo il discepolo. Con una perseveranza mirata, scelta e incrollabile, il maestro si comportava come un muro di gomma che faceva rimbalzare addosso all'interlocutore ogni parola pronunciata, suscitandogli confusione mentale.
Il discepolo se ne stava con il groppo in gola per la propria incapacità a comunicare, si chiedeva in continuazione se le domande fossero poco chiare o se avesse parlato sgarbatamente; talvolta gli sorgeva il dubbio che il maestro fosse ossessionato da mania di protagonismo, ma al solo pensiero si sentiva terribilmente in colpa.
Un giorno sentì per strada un gruppo di bambini recitare una filastrocca, che sostituiva le parole della frase con il suono mmm, fino a ritrovarsi la bocca tappata:
"La macchina del capo, ha un buco nella gomma,
la mmm del capo, ha un buco nella gomma,
la mmm del mmm ha un buco nella gomma,
la mmm del mmm ha un mmm nella gomma,
la mmm del mmm ha un mmm nella mmm".
Grazie alla cantilena, ricordò che il suono mmm, conosciuto dagli antichi yogin, era in grado di penetrare tutti i livelli di coscienza in un sol colpo e di far percepire la forza dello spirito incondizionato. "Ecco perché il maestro mi ributtava addosso con ogni mezzo ogni parola che dicevo", pensò il discepolo rincuorato. "Nella sua lungimiranza voleva farmi sostituire ogni parola con il suono mmm, per permettermi di entrare in sintonia con tutto il creato. E io che lo avevo accusato ingiustamente!".
Così il discepolo si prostrò ai piedi del maestro, in umile atteggiamento di gratitudine e gli disse: "Sarai il mio unico faro da qui all'eternità, e in segno di devota sottomissione ti regalo per sempre, o venerabile maestro, la mia voce".
E il maestro rispose, guardandolo dall'alto in basso: "Finalmente hai capito, figliolo! Che il tuo parlare non turbi mai più le mie preghiere!".
Il discepolo trascorse così anni e anni all'ombra del maestro, pronto a rispondere a ogni sua richiesta con abnegazione totale e silenziosa e rinunciando a porre ulteriori domande. Da vero yogin imparò anche a controllare perfettamente il lieve sibilo del respiro, dal momento che ogni più piccolo rumore poteva turbare la concentrazione del maestro.
Senonché, a forza di respirare sommessamente, contrasse un'asma terribile, che con gli anni si cronicizzò. Fu solo durante un attacco d'asma più violento che, boccheggiando e in punto di morte, non riuscì più a controllarsi, e grazie a quel respiro finale a pieni polmoni ebbe una visione estatica. Vide, su uno sfondo fiammeggiante, un tale di nome Caronte alla guida di una strana imbarcazione, il quale con grandi pacche sulle spalle gli diceva:
"Fatto non fosti a viver sempre muto,
ma per seguir tua propria intelligenza,
torna suvvia alla terra e da quel bruto,
fidando nel tuo cor e in tua esperienza!".
IL BUCO NERO DELL'INDIVIDUALISMO
Scappare non serve
Ci sono momenti della vita in cui è necessario mettere in ordine i cassetti dell'armadio, anziché spolverarne la superficie. In questo caso può essere molto utile rintanarci come la lumaca dentro al guscio per rientrare in noi stessi e osservarci meglio.
I ritiri spirituali possono diventare un'ottima occasione per darci questa possibilità di ascolto interno, sintonizzando la frequenza della radio sul nostro canale e lasciando da parte per qualche giorno le fonti di confusione che solitamente si sovrappongono a una più chiara ricezione. Anche nella vita di tutti i giorni è fondamentale trovare un po' di tempo per intrattenere un dialogo con le parti più profonde, per imparare a mantenerci in contatto con esse anche durante lo svolgersi delle normali attività. Che si tratti di una semplice sospensione dal fare per permettere di emergere all'essere, oppure di yoga, meditazione o preghiera, è un momento in cui è necessario il pieno rispetto della nostra privacy.
Tutto ciò è ovviamente molto diverso dal diventare orsi rintanati dentro la propria pelliccia dato che fuori potrebbe far freddo, o dall'essere a tal punto centrati sul raggiungimento di grandi mete universali da non accorgerci della sofferenza del vicino di casa. è un esempio portato all'estremo ma non impossibile, perché non è così infrequente cadere nel buco nero dell'individualismo e dell'isolamento. Su percorsi di tipo spirituale è normale attraversare momenti di trasformazione che ci portano a non riconoscere più i valori superficiali prima accettati in maniera quasi automatica, e abbandonare zavorre ormai superflue per la nostra evoluzione diventa in certi casi una necessità. Un minimo di solitudine è di fondamentale importanza per riuscire a vedere meglio dentro di sé, ma è altrettanto importante viverla come una fase del percorso, perché qualora diventasse regola di vita ci condurrebbe molto facilmente verso la separatezza. Potremmo ad esempio illuderci che la vera comunione con gli altri non necessiti, in quanto interiore, di reciproco sostegno e di solidarietà concreta verso l'esterno, paralizzandoci nell'azione e nella condivisione.
Un'altra forma di isolamento, molto comune, nasce quando guardiamo chi non si è posto sul nostro stesso cammino con la presunzione di essere “più avanti", come se gli altri non potessero incontrare lo spirito su qualunque strada la vita proponga loro.
Uno dei buchi neri più infidi, che può risucchiare il praticante di yoga, trattandosi di una disciplina molto centrata sullo studio di sé, è la tendenza all'individualismo. La verità va trovata in se stessi e nessuno può dirci cosa fare, come vivere, come agire e reagire, in cosa credere. Queste risposte è bene lasciarle sorgere dal profondo, dal nostro maestro interiore, che possiamo cercare attraverso la meditazione, quando siamo riusciti a placare la forza delle onde pensiero. Senonché, la difficoltà più grande in campo meditativo è lo scoprire di chi sia la verità che scorgiamo: del maestro interiore o dell'ego? E qui casca l'asino.
Sorretti dall'assunto che il mondo esterno non ci può dare completezza e stabilità, perché queste vanno invece cercate in noi stessi, l'autoimmagine potrebbe crescere a dismisura, fino a farci diventare una grande mongolfiera che vola, sì, nel cielo, ma isolata e senza possibilità di capire se il gas usato sia tossico o innocuo. Nell'intento di aderire fermamente alle nostre certezze potremmo diventare un po' sordi alle altrettanto importanti certezze degli altri, sviluppando un attaccamento ostinato a convinzioni ristrette e scelte caparbie. Giustificandole con i richiami del maestro interiore, ci diamo il permesso di dimenticare che il mondo non gira attorno a noi, ma siamo noi a dover accettare il mondo così com'è. Questi potenziali ostacoli non sono certo determinati dallo yoga, che significa unione e proprio a questa meta mira, bensì da quelle solite tendenze egoiche molto abili a trasformare alcuni princìpi a proprio uso e consumo.
L'egoismo così camuffato richiede l'intervento di numerosi detectives per smascherarlo ai nostri stessi occhi. La prova del fuoco di tutti questi discorsi, che rischiano di rimanere teorici, avviene infatti nel momento in cui ci misuriamo con l'altro da noi, quando il nostro ego si trova a confrontarsi con altri ego che, tanto quanto il nostro, desiderano essere compresi, riconosciuti e amati. Di solito gli “agenti non tanto segreti", nei quali possiamo specchiarci, sono le persone che interagiscono con noi più da vicino, nella vita di tutti i giorni; guardare in quegli specchi è un ottimo modo di risolvere il giallo, o perlomeno di raccogliere seri indizi.
Ascolto interno e ascolto esterno non sono due cose differenti ma complementari: renderci consapevoli dei contenuti della nostra mente, belli o brutti che siano, ci permette di sviluppare tolleranza per quelli degli altri. Cogliere gli stimoli e la possibilità di metterci in discussione offerti dagli scambi relazionali serve a evitare i buchi neri dell'egocentrismo e della fuga dalla realtà permettendoci di evolvere. Invece il “granchio interiore", che mira a diventare un superman autorealizzato, autonomo, non dipendente da niente e da nessuno, che vuole dirigere e controllare anziché concedersi, ci può fare rimanere abbarbicati su di uno scoglio, anziché lasciarci navigare sulle onde dell'oceano. Entrando in relazione possiamo crescere davvero. Non c'è introspezione in grado di liberare niente e nessuno se la conoscenza di noi stessi acquisita non viene usata per imparare a dare e ricevere, a vivere nel mondo e a misurarci con la realtà dei nostri e altrui bisogni.
L'adesione piena alla realtà rende necessario mettere da parte il mito dello yogin seduto sul tetto del mondo a meditare, lontano dalle folle brulicanti e dai gas delle nostre città. Anche se a volte sarebbe tanto comodo e liberatorio poterlo fare! è vero che la società attuale non presenta valori in armonia con le esigenze dello spirito, e spesso si ha la sensazione di essere degli alieni, ma è altrettanto vero che le fughe non servono. Dopotutto non sapremmo neanche più dove fuggire, visto che le fasce himalayane sono depositi di mine anti-uomo, l'Oceania una palestra per bombe atomiche e alcuni deserti sono diventati arsenali per la guerra batteriologica!
Anche le fughe interiori possono essere altrettanto limitanti, allontanandoci dalla profonda verità dell'interconnessione di tutti gli esseri, che non è soltanto eterica e sospesa nel cielo, ma visibile e radicata alla terra, nelle piccole cose di ogni giorno. è vero che il “conosci te stesso" ci chiede di diventare un giorno cittadini dello spirito, ma la strada per arrivarci passa nel mondo, qui e ora. Scappare non serve.
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