Introduzione
La Via del Buddha
Il Sé: la natura di Buddha
In cammino verso il Buddha
Meditazione
Zazen e la fede buddhista
Zazen
La postura
Za: sedersi
Zen: vedere
Kinhin: meditazione camminata
Fukanzazengi: raccomandazioni per fare zazen
Pratica quotidiana
Spazio e tempo
Sesshin
Koan
Etica e terapia
La mente di zazen nell'arte
Abili mezzi
Inizio e fine
PASSI SCELTI
Il Sé è il fondamento del buddhismo che lo Zen vuol farci cogliere e del quale vuole aiutarci a fare esperienza. È quello che i buddhisti chiamano "Buddha", per indicare che la verità enunciata dal Buddha storico, Shâkyamuni, pervade ogni cosa, è presente in tutto come Anima del Mondo.
Dal punto di vista puramente psicologico, il Buddha è l'immagine del compimento del Sé. In epoca moderna anche illustri maestri hanno adottato questo termine insegnando in Occidente.
Bisogna puntualizzare, però, che "Sé non ha niente a che vedere con "se stessi"; al contrario, Sé, alla terza persona, si pone su un piano che trascende completamente "me" o "te", per assumere un valore impersonale di "assoluto nell'uomo".
Il Sé, come ordinatore segreto, è la nostra più profonda aspirazione, il massimo ideale in cui ogni nostro io, cioè ogni nostra singola personalità cosciente è contenuta. In termini più semplici, potremmo dire che il Sé è Dio in noi, oppure che è uno stato di coscienza che supera e contiene l'ordinario stato della nostra coscienza, dove questa, per l'appunto, è contenuta. La comparsa del Sé toglie la patina del vecchio, restituendoci una percezione inedita della realtà, come una medicina che allontanando la malattia ci riporta in uno stato di primigenia salute, in un luogo centrale, il cui punto di vista è tale da vedere e intuire nuove, ampie prospettive e nuove strade da percorrere.
Mentre nella maggioranza delle psicoterapie il Sé viene descritto, per convenzione, come qualcosa che contiene qualcosa che manifesta qualcosa e che ha effetto su qualcosa, come se ci fosse un Sé e qualcos'altro, cioè due distinte sfere della realtà, lo Zen ci dice che il mondo assoluto del Sé, cioè il nirvana, e il mondo relativo dei fenomeni coincidono, sono cioè la stessa identica cosa.
Dice un allievo al maestro: "Passo tutto il giorno a sistemare il giardino, ma ciò che desidero realmente è l'illuminazione".
Risponde il maestro: "Dove credi di trovare l'illuminazione se non in giardino?".
È questa una reale percezione inedita della realtà, il risveglio del Sé come un tutto unitario che non fa distinzioni, ma è dappertutto, anche in giardino. Siamo noi che facciamo sempre distinzioni, scegliendo e decidendo che alcune cose sono giuste per l'illuminazione e altre no, che una cosa è adatta a rappresentare il Sé e un'altra non lo è. Ma il Sé, la Via del Buddha, è ovunque.
Da bambini, al catechismo, ci insegnavano che Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. Ma da bambini non possiamo capire, perché anche i bambini sono in ogni luogo, sono cioè avviluppati nel Sé. Risvegliarsi è vivere pienamente questa realtà, rispondere a questa realtà del Sé.
Al contrario, quando la coscienza ordinaria è oscurata o non regge l'impatto con realtà più profonde, la mente, "cadendo", si identifica ancor più nel ruolo indotto dal contesto e dal consenso sociale, vincolandosi a un gran numero di problemi e rimanendo impantanata, con la conseguente impossibilità di osservare obiettivamente le cose della vita. Inoltre, la falsa identità deve continuare a farci credere di essere qualcosa di stabile per timore di essere sopraffatti da ciò che ci è sconosciuto e perciò inaccettabile. Mantenere un ruolo consuma energia, perché dobbiamo costantemente essere concentrati per mantenerlo.
Spesso la sofferenza si fa sentire a partire da qui, quando il nostro Buddha interiore, il Sé, si agita dentro di noi perché è imprigionato in una falsa identità e lancia urla di accusa nei nostri confronti perché vuole vivere, attraverso di noi, anche là fuori, nel mondo.
Quello che il buddhismo e lo Zen ci insegnano è che lo stato normale della nostra coscienza è uno stato di sofferenza, modellati come siamo sin dalla nascita da una realtà che definiamo consensuale ma che non è la realtà; è solo una convenzione, una norma, capace di sviluppare appena una parte delle potenzialità umane innate che abbiamo a disposizione. Nello Zen si vuole reintegrare tutto questo patrimonio psichico latente in una coscienza altrimenti mutilata. Si vuole cioè recuperare empiricamente quelle memorie in cui è contenuta la nostra vera natura che è la natura di Buddha, il Sé, e che fin dalla nascita è depositata in ognuno di noi. Ecco la verità dello Zen, che si è sempre adoperato per farci pervenire a questa memoria. Al contrario, l'uomo ordinario è inquadrato in una società fatta di valutazioni arbitrarie che oscurano e limitano ogni possibile intuizione che non sia preposta a qualche squallido profitto personale e basta.
Lo Zen è quindi praticato dall'adepto che vuole coniugare la propria individualità alla forma che meglio si addice al Sé: la meditazione seduta, lo zazen. Si tratta di un'adesione, di un'unione, un matrimonio psichico, così come lo dovrebbe essere lo Yoga, che significa appunto "unione".
Questa unione viene praticata per ristabilire costantemente il ricordo del fatto che, in realtà, non ci siamo mai separati. La separazione era l'illusione che provocava in noi la lacerazione e il disorientamento.
Quando Gautama Shâkyamuni, il Buddha storico, intraprese il suo cammino spirituale, la meditazione come forma di Yoga esisteva da tanto tempo. Ci viene tramandato che proprio in una posizione yoghica egli raggiunse la completa risoluzione del suo e dell'altrui essere, il grande risveglio, l'illuminazione.
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