Prefazione
Per cominciare…
Andare oltre
Eu-topos
Antigone, o del rifiuto della prepotenza
In due?
Relazioni di aiuto
Il problema del male
Non lasciatelo al serpente
Beata semplicità o armoniosa complessità?
Quale natura?
Riabitare
Il luogo come guru
Gratitudine, valore nativo
Per concludere… e lo humour?
PASSI SCELTI
Sono un insegnante, lavoro con gli adolescenti tutti i giorni, sono anche un terapeuta e mi confronto con la sofferenza psichica della gente. Ogni tanto mi capita di insegnare meditazione e di scontrarmi con il desiderio, spesso confuso, di crescita spirituale di persone sofferenti. Ognuna di queste attività ha a che fare con un tipo di relazione di aiuto poiché, consciamente o inconsciamente, lo studente, il paziente e il ricercatore spirituale sono tutti in cerca di sostegno, di guida e di aiuto. Non è facile porsi in una relazione di aiuto, anche perché quello che dovrebbe essere il guaritore è a sua volta ferito dalla vita e bisognoso di aiuto, e quindi non può che essere un guaritore ferito, ma solo grazie alle sue ferite potrà fare proprie quelle altrui e «guarirle».
Troppo spesso sento parlare di maestri perfetti, di guru illuminati, e questi discorsi mi fanno ribollire il sangue. Che una persona in una situazione di sofferenza tenda a idealizzare colui o colei che lo aiuta è comprensibile, ma è inaccettabile che chi si pone in una situazione di aiuto avalli queste idealizzazioni.
Il concetto di devozione al guru, di derivazione orientale, è ormai penetrato in occidente - e non solo negli ambienti orientalisti - trovando un fertile terreno in questa società senza padri, ma creando tutta una serie di situazioni perniciose e assurde.
Che in ogni relazione di aiuto si crei una situazione di transfert è cosa nota, ma che questo transfert invece di essere elaborato venga utilizzato a fini di potere o altro è una situazione meno conosciuta.
Troppo spesso nel nostro bisogno accettiamo acriticamente qualunque tipo di aiuto, vero o presunto, che possa anche solo temporaneamente lenire la nostra sofferenza, ma spesso questo aiuto si rivela peggiore del male stesso, inducendoci in una situazione di dipendenza acritica nei confronti del guru o del movimento a cui ci siamo avvicinati.
Il nostro bisogno di certezze, di padri-madri affettuosi, ci motiva a ogni forma di sottomissione pur di meritare un poco d’amore e di attenzione; il nostro bisogno di identità ci spinge ad un senso parossistico di appartenenza che sfocia nel fanatismo.
Jack Kornfield, un insegnante di meditazione americano, nel suo ultimo libro A Path with Heart dedica un lungo capitolo ai problemi connessi al rapporto con l’insegnante, denunciando con chiarezza i rischi e gli abusi a cui si può andare incontro nella nostra ricerca di valori spirituali.
Spesso i maestri, per quanto esperti nella meditazione o nella dottrina da loro professata, hanno ancora problemi nell’area relazionale, e questo porta a situazioni pericolose sia per l’allievo sia per l’insegnante che non riesce a gestire i propri controtransfert (a maggior ragione quando l’insegnante è orientale e quindi non comprende le dinamiche psicologiche degli allievi occidentali).
Il setting in cui l’insegnamento avviene è radicalmente diverso fra un monastero tibetano e un centro di meditazione occidentale, le dinamiche sono differenti e quindi dovrebbe essere differente anche l’approccio. Come al terapeuta si richiede non solo una conoscenza teorica ma anche un training, così l’insegnante di scuola e quello di meditazione trarrebbero grande giovamento da una preparazione alla relazione di aiuto.
Ma come dovrebbe essere una relazione di aiuto autentica? Un’immagine la possiamo trovare nel ruolo che Atena svolge nell’Odissea: sempre presente al fianco di Odisseo ma mai al punto di sostituirlo; sempre di aiuto ma senza evitargli la libera scelta, il rischio, il dolore.
Un’altra immagine la troviamo nel Siddharta di Hermann Hesse, dove il barcaiolo Vasudeva guida Siddharta senza guidarlo, semplicemente essendoci e ascoltandolo.
Una relazione di aiuto comporta anche una fine: non si può né si deve essere allievi o pazienti per sempre; si cammina per un pezzo di strada insieme, poi è doveroso che le strade si separino.
Un rapporto di discepolanza che dura una vita ha una conformazione patologica.
È tempo che si rifletta seriamente sulle relazioni di aiuto, visto il dilagare di sofferenza psichica che la crisi di questa società comporta; è tempo che si trovino strumenti idonei per aiutare in modo autentico al di fuori di ogni manipolazione conscia o inconscia. Il nuovo millennio si avvicina, e mi chiedo se porterà con sé nuovi orizzonti o semplicemente nuovi guru e nuove pseudocertezze.
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