Marco Valli
Tra silenzio e parole
Poesia e meditazione

 


 

PASSI SCELTI

 

Prefazione

Per più di due anni una trentina di persone si sono riunite, due volte alla settimana, in un piccolo eremo sulla cima di una collina fra alberi fruscianti e stelle abbaglianti per sperimentare il silenzio attraverso la pratica della meditazione seduta.

Si sedeva per un’ora, mentre il vento faceva cantare le foglie delle vecchie farnie e della roverella, intanto che le stelle pian piano invadevano il cielo. Stelle nitide, luminose, pulsanti. Ognuno, in quel silenzio, cercava qualcosa; chi Dio, chi il senso della propria esistenza, chi l’illuminazione, o semplicemente un momento di tregua dal turbinio delle proprie nevrosi. Dalla vetrata si scorgevano le luci della città nella valle, ma in quel luogo di pace ogni pensiero «preoccupato» pareva svanire.

In quelle sere mi è stato chiesto di dire qualche parola che aiutasse a entrare nel silenzio e a decodificarlo. In realtà il silenzio non ha bisogno di parole, ma gli uomini sì. Ho quindi parlato, brevemente, ogni sera, lasciandomi dapprima condurre dal sentimento del momento, poi commentando il Vangelo di San Giovanni, e in ultimo utilizzando testi poetici e letterari.

La scelta di questi testi occidentali è forse frutto della mia lunga frequentazione, per piacere e per mestiere, della letteratura; ma è stata anche una scelta consapevole, ritenendo che ogni autentica esperienza umana abbia il profumo della mente illuminata, anche se non proviene da un àmbito buddhista o «spirituale».

Insegnare la pratica meditativa buddhista utilizzando simboli e metafore occidentali mi pare un ottimo modo per rendere fruibile a tutti questa antica saggezza, spogliandola nel contempo di quella patina esotica che può spesso risultare fuorviante.

Ciò che ho imparato dai lama tibetani non è qualcosa che ha a che fare con un determinato contesto culturale, ma ha a che fare col vivere pienamente la vita. Mi rendo conto che più passano gli anni, più mi sento svincolato dalla terminologia, dalle immagini e dai meccanismi culturali tibetani. Mi sono riappropriato della mia occidentalità pur mantenendomi collegato all’essenza dell’insegnamento. È questo che ho cercato di trasmettere agli amici che mi sedevano attorno su quella collina.

Ora una piccola parte di quelle conversazioni diventa parola scritta. Mi auguro che la freschezza della comunicazione diretta non vada del tutto perduta e che possiate, leggendo queste pagine, assaporare un poco dell’atmosfera che ci avvolgeva in quelle serate.

Questo libro deve la sua nascita a molte persone. Prima di tutto agli amici che con fedeltà e costanza hanno continuato a venire a sedersi con me; a Ester, che ha trascritto meticolosamente le registrazioni di quelle chiacchierate, trascrizioni che sono il materiale grezzo da cui sono nate queste pagine; e da non dimenticare le impagabili sorelle Cappuccine, amiche da tempo immemorabile, che ci hanno permesso di usare il loro eremo per i nostri incontri. Ovviamente, tutto ciò che dico e scrivo è frutto di anni di studio e di vita con i miei maestri buddhisti e cristiani, ma questo libro in particolare lo dedico a Padre Cornelio Tholens, abate benedettino che in più di un’occasione si è venuto a sedere con noi, stimolandoci con l’esempio e con la parola.

Un ringraziamento alla mia compagna, che mi stimola sempre ad andare avanti anche quando avrei voglia di ritirarmi «a vita privata».

Per finire, una dedica a un esserino grasso e roseo che porta il nome di un mio amato maestro, e che mi sveglia ogni mattina con i suoi sorrisi e gorgheggi. Ancora non mi puoi leggere, Shantidas, ma un giorno imparerai e spero che ti aiuterà a conoscermi.

A tutti voi un augurio di pace, forza e gioia.

 

 


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