Alberto Stipo | ||
Il libro completo delle tecniche yoga |
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE ALLO YOGA
Punti di vista sullo Yoga
Le tradizioni dello Yoga
Classificazione delle tecniche yoga
Yama e niyama
Metodologia delle pratiche psicofisiche
1) Consigli generali
2) Polarità psicofisiche
3) Punti d’arrivo e punti di partenza
4) Precisione e intensità, ovvero volontà e abbandono
5) Eseguire e percepire
6) Indicazioni e controindicazioni
7) Aspettative e distacco
CAPITOLO 2 - ÂSANA
1) Effetti fisiologici generali
2) Effetti respiratori
3) Effetti mentali
4) Effetti sottili
Metodologia di esecuzione degli âsana
Tipologia degli âsana
Pratiche dinamiche e di preparazione
Vyâghra-âsana (versione 1)
Râjabhujanga-âsana
Chakra-âsana (versione 1)
Chakkî-chalânâ
Âsana vari
Sûrya-namaskâra
Chandra-namaskâra
Shava-âsana
Makara-âsana (versione 1)
Matsyakrîda-âsana
Shayanabuddha-âsana
Âsana vari
Posizioni sedute e derivate da esse
Esercizi preparatori
Sukha-âsana
Padma-âsana
Siddha-âsana
Vîra-âsana
Bhadra-âsana
Goraksha-âsana
Kanda-âsana
Mandûka-âsana (versione 1)
Sankata-âsana
Vâmadeva-âsana
Vajra-âsana
Supta-vajra-âsana
Altri âsana
Posizioni riguardanti prevalentemente la colonna vertebrale
Generalità sulla colonna vertebrale
Posizioni in piedi
Utkata-âsana (versione 1)
Hasta-uttâna-âsana
Drishtika-âsana
Pâkshin-âsana
Samakona-âsana
Pâdahasta-âsana
Pârshvakona-âsana (versione 1)
Trishûla-âsana
Ardhachandra-âsana (versione 1)
Trikona-âsana
Parivritta-trikona-âsana
Pârshvakona-âsana (versione 2)
Parivritta-pârshvakona-âsana
Pârshvottâna-âsana
Vîrabhadra-âsana (versione 1)
Ardhachandra-âsana (versione 2)
Tala-âsana
Posizioni supine
Danda-âsana (versione 1)
Supta-kona-âsana
Setubandha-âsana
Matsya-âsana
Sarpa-âsana
Jâtharaparivartana-âsana
Garbha-âsana (versione 1)
Posizioni in ginocchio
Vajra-âsana (versione 2)
Hanumân-âsana
Kapota-âsana
Ushtra-âsana
Parigha-âsana
Vyâghra-âsana (versione 2)
Posizioni prone
Danda-âsana (versione 2)
Prishta-âsana
Bhujanga-âsana
Shalabha-âsana
Dhanur-âsana
Mandûka-âsana (versione 2)
Posizioni sedute
Brahma-mudrâ (versione 1)
Sûryachandra-mudrâ
Danda-âsana (versione 3)
Parvata-âsana
Mandûka-âsana (versione 3)
Gomukha-âsana
Pascimottâna-âsana
Kûrma-âsana
Aditi-âsana
Mahâ-mudrâ
Jânushîrsha-âsana
Vakra-âsana
Matsyendra-âsana
Marîcî-âsana
Pasha-âsana
Yogadanda-âsana
Posizioni in appoggio sulle braccia
Shvâna-âsana
Pûrvottâna-âsana
Chakra-âsana (versione 2)
Makara-âsana (versione 2)
Posizioni d’equilibrio
Tada-âsana
Vriksha-âsana
Tulita-âsana
Vîrabhadra-âsana (versione 2)
Natarâja-âsana
Garuda-âsana
Vâtâyana-âsana
Baka-âsana
Utkata-âsana (versione 2)
Titibha-âsana
Posizioni riguardanti prevalentemente la fascia addominale e gli organi viscerali
Shashanka-âsana
Yoga-mudrâ
Pavanamukta-âsana
Garbha-âsana (versione 2)
Stambha-âsana
Namaskâra-âsana
Nâv-âsana
Simha-âsana
Mayûra-âsana
Posizioni di estensione delle articolazioni inferiori
Âkarnadhanur-âsana
Ananta-âsana
Kruncha-âsana
Ekapâdashîrsha-âsana
Dvipâdashîrsha-âsana
Posizioni capovolte
Viparîta-karanî
Sarvânga-âsana
Hala-âsana
Kapâla-âsana
Shîrsha-âsana
Vriscika-âsana
Adhomukhavriksha-âsana
CAPITOLO 3 - SHATKARMAN
Dhauti
Basti
Neti
Trâtaka
Nauli
Kapâlabhâti
CAPITOLO 4 - PRÂNÂYÂMA
Le pratiche respiratorie
La progressione nella pratica
L’apprendimento del respiro profondo
Gli elementi del prânâyâma
Le varianti di prânâyâma
Anuloma-viloma
Ujjâyî
Sûrya-bhedanaBhastrikâ
Bhastrikâ
Shîtalî
Sîtkârî
Bhrâmarî
Mûrchâ
Plâvinî
Le alternanze
I bandha
Jâlandhara-bandha
Uddîyâna-bandha
Mûla-bandha
Bandha-traya
Effetti sottili del prânâyâma
CAPITOLO 5 - MUDRÂ
Dhyâna-mudrâ
Jnâna-mudrâ
Cin-mudrâ
Cinmâyâ-mudrâ
Âdi-mudrâ
Brahmâ-mudrâ (versione 2)
Khecharî-mudrâ
Shâmbhavî-mudrâ
Drishti
Ashvinî-mudrâ
Vajrolî-mudrâ
Sanmukhî-mudrâ
Prâna-mudrâ
Mahâ-mudrâ
Mahâ-bandha
Mahâvedha-mudrâ
CAPITOLO 6 - MANTRA
Svasti-mantra
Shânti-pâtha
Gayatrî
Tryambaka-mantra
Mantra per sûrya-namaskâra
Mantra per il respiro completo
Bîja-mantra associati ai chakra
La sillaba OM
Ajapa-mantra
CAPITOLO 7 - PRATYÂHÂRA E DHÂRANÂ
Generalità
Pratiche meditative
Supporti semplici di concentrazione
Concentrazione sul mantra
Consapevolezza del movimento
Contemplazione del Sé
Yoga-nidrâ
Concentrazione sui chakra
CAPITOLO 8 - LA SCELTA DELLA PRATICA PERSONALE
Considerazioni generali
Yoga e disturbi specifici
Problemi della colonna vertebrale e dolori conseguenti
Problemi dell’apparato cardiocircolatorio
Problemi dell’apparato respiratorio
Problemi dell’apparato digerente
Problemi renali
Problemi dell’apparato genitale
Problemi psicosomatici e squilibri del carattere
Esempi di sedute
Sedute facili di breve durata
Sedute facili di media durata
Sedute di media intensità e di breve durata
Sedute di media intensità e di media durata
Sedute di media intensità e di lunga durata
Sedute impegnative di media durata
Sedute impegnative di lunga durata
INDICE ANALITICO
PASSI SCELTI
Metodologia delle pratiche psicofisiche
Oltre all’esistenza di diverse vie allo Yoga, si deve notare che anche all’interno di una sola di esse si incontrano diversi metodi, ciascuno dei quali mette in risalto certi aspetti della pratica rispetto a certi altri. Questo fatto, che potrebbe sembrare occasione di confusione, è invece un segno della ricchezza di questa disciplina e del fatto che è possibile personalizzare la pratica a seconda delle condizioni dell’allievo, come sarà precisato nella trattazione delle singole tecniche. C’è comunque una maniera per capire se si sta praticando in maniera corretta: osservare se si stanno rispettando i princìpi di yama e niyama sopra descritti. Questi ultimi infatti non sono soltanto regole di comportamento nella vita di tutti i giorni, ma hanno anche uno speciale significato nella pratica dello Hatha-yoga: trascurarli rende le tecniche semplice acrobazia, e può anche portare a inconvenienti. Così possiamo dire, ad esempio, che si commette violenza se, per spirito di competizione con gli altri o con se stessi, si forza il corpo a eseguire pratiche per cui non è preparato, o che non si rispetta la verità se si cerca di sembrare migliori intensificando una tecnica oltre i propri limiti per farsi apprezzare. In questi casi la pratica diventa un’esaltazione dell’ego, anziché un’occasione di evoluzione. è ovvio il significato di appagamento: essere soddisfatti di quello che si può fare, senza invidia per le eventuali esecuzioni di livello più acrobatico ottenute da altri. Quanto al divieto del furto, si può dire che rubare significhi prendere qualche cosa senza dare niente in cambio. Nella pratica dello Yoga si può cadere in un simile atteggiamento quando si pretende di ottenere dei risultati senza praticare a sufficienza o facendo pratiche irregolari e incostanti. Si può d’altra parte cadere nell’atteggiamento di avidità se si punta sulla quantità degli esercizi anziché sulla precisione. Spesso, nelle scuole, si vedono gli allievi affrettarsi ad iniziare una tecnica prima ancora di averne ascoltato tutta la descrizione; altre volte accade di vedere sciogliere bruscamente una posizione per stanchezza, invece di terminare con tranquillità e sotto il proprio controllo prima che tale stato si instauri, a causa di un male inteso spirito di emulazione. Sulla base delle precedenti considerazioni, si possono proporre alcuni criteri come basi per trarre il massimo profitto dalla pratica. è auspicabile tornare, di tanto in tanto, a leggere le seguenti considerazioni nel corso del tempo, mentre si procede nella propria pratica personale, perché è facile trascurare inconsapevolmente i princìpi in esse contenuti; essi saranno comunque ripresi, entro certi limiti, nelle spiegazioni delle varie tecniche. Per ottenere il migliore atteggiamento, è importante frequentare il più possibile un insegnante.
1) Consigli generali
Per ottimizzare i risultati, è preferibile cominciare la pratica durante una stagione di transizione, anziché in un mese molto caldo o molto freddo, e in un periodo di luna crescente, ma ciò non è essenziale. Per ragioni di magnetismo terrestre, è consigliato di rivolgersi a Nord o, in posizione sdraiata, con la testa a Nord. Se non è possibile, è accettabile anche rivolgersi a Est. Si devono indossare abiti comodi e leggeri; se possibile, si praticherà svestiti. Il terreno o il pavimento dovrebbero essere coperti da un tappeto o un altro supporto in tessuto non sintetico, eventualmente in più strati ma non tanto soffice da rendere instabili le posizioni in piedi o da ostacolare l’allineamento della colonna vertebrale quando si è sdraiati, come avviene nel caso di un materasso.
Quando si pratica da soli, si cercherà un posto comodo, all’aperto o bene aerato, senza spettatori e possibilmente senza disturbi esterni. Quando si pratica in gruppo, non si osserverà come praticano gli altri, ma si agirà come se si fosse soli.
I migliori momenti per praticare sono il mattino al risveglio e la sera prima del pasto; il primo di questi momenti otterrà il risultato di preparare la giornata nel modo migliore, l’altro compenserà le tensioni della giornata e predisporrà a una serata più serena e a una notte tranquilla. Comunque nessun orario è escluso, purché non si sia appesantiti dalla digestione. In linea di massima si può praticare due ore dopo un pasto leggero, quattro ore dopo un pasto abbondante. Dopo la pratica, è bene non mangiare immediatamente ma attendere 20-30 minuti. è anche importante, al termine, evitare di prendere freddo.
La durata di una seduta può essere molto variabile in relazione al tempo disponibile e all’esperienza. I risultati sono proporzionali al tempo dedicato alla pratica, tuttavia la regolarità e la costanza sono ancora più importanti della durata. Se il tempo è scarso è opportuno eseguire anche soltanto una pratica di pochi minuti piuttosto che lasciar trascorrere la giornata senza mantenere l’abitudine di fermare la dispersione e avere un momento di ritorno dell’attenzione verso se stessi.
La respirazione sarà effettuata attraverso il naso, a bocca chiusa, salvo per certe pratiche speciali. Prima della pratica è importante vuotare la vescica e, possibilmente, l’intestino.
In caso di agitazione, ci si può predisporre nel modo migliore alla seduta ascoltando una musica rilassante per qualche minuto, o facendo una breve passeggiata all’aperto, o prendendo un bagno non troppo caldo.
Per ottenere il massimo beneficio è necessario adottare, oltre all’igiene psicofisica, un’igiene morale: all’inizio della seduta il praticante formulerà pensieri di pace e di amicizia per tutte le creature della natura, al termine rivolgerà un ringraziamento a tutti i maestri che gli hanno trasmesso le tecniche che ha appreso, e al Maestro Supremo che ha inviato gli altri maestri.
Sport o ginnastica non dovrebbero essere praticati consecutivamente allo Yoga ma almeno 20-30 minuti prima o dopo. Inizialmente si avvertirà più frequentemente il bisogno di interrompere la seduta con posizioni di riposo; con l’abitudine tale necessità diminuisce. La stanchezza della giornata scoraggia spesso dall’eseguire la seduta della sera. Se tale stanchezza non è dovuta a gravi sforzi fisici ma alla tensione, ci si accorgerà che nel progredire della seduta, col dissolversi delle tensioni e col rinnovamento dell’aria nei polmoni, ci si sente più forti e riposati. Anche la stanchezza fisica può essere eliminata da pratiche opportune.
Agli inizi si possono sentire leggeri indolenzimenti e dolori muscolari. Ciò è segno che si sta cominciando a usare parti del corpo che di solito sono inattive. Si tratta quindi di un segno positivo, che deve incoraggiare a praticare con regolarità, senza lunghe sospensioni fra una seduta e l’altra, per acquisire l’abitudine ai movimenti insoliti. Se la pratica è graduale, comunque, il problema è molto lieve. Può accadere anche che si percepiscano tensioni di cui non si aveva coscienza, data la scarsa attenzione rivolta a se stessi; esse sono comunque destinate a essere superate gradualmente.
Il principio della totalità della personalità funziona anche in negativo: trascurare il corpo o caricarlo di sostanze tossiche danneggia anche la mente e può rendere inefficaci le pratiche.
I criteri di scelta delle tecniche da eseguirsi in una seduta saranno oggetto di un apposito capitolo.
2) Polarità psicofisiche
Si è detto che lo Hatha-yoga ha lo scopo di armonizzare le correnti energetiche. Le polarità dell’individuo costituiscono un argomento vastissimo, non limitato allo studio delle «energie sottili», ma presente in ogni piano dell’esistenza. Lo stato psichico dell’individuo può variare dall’euforia alla depressione, dall’allegria alla tristezza. La personalità può tendere maggiormente alla razionalità o all’emotività, alla logica o all’intuizione. L’atteggiamento del corpo e il respiro sono in stretto rapporto con tali stati: la delusione e lo sconforto provocano una flessione, più o meno marcata, del corpo in avanti, mentre l’euforia e le situazioni stimolanti favoriscono un’estensione all’indietro. L’agitazione rende il respiro affannoso, mentre la calma mentale lo rallenta. Il corpo presenta all’esterno le emozioni esistenti all’interno. Come sempre, il processo è a due sensi: una modificazione volontaria dell’atteggiamento o del ritmo respiratorio modifica anche lo stato psichico e le energie sottili. Nella pratica vi dovrà dunque essere molta attenzione a non stimolare eccessivamente uno dei due aspetti energetici, ad esempio praticando soltanto posizioni di allungamento in avanti e trascurando le estensioni all’indietro. Ciò non significa che sia obbligatorio dedicare esattamente lo stesso tempo alle une e alle altre, poiché l’intensità dell’effetto è variabile a seconda della tecnica specifica. Inoltre le condizioni del praticante potrebbero rendere opportuna la prevalenza dell’una sull’altra, per superare uno squilibrio personale o per aiutarlo ad affrontare una data circostanza della propria vita. Il vero significato risiede nella ricerca di un equilibrio globale nella persona. La pratica corretta ammorbidisce chi è rigido e rafforza chi è debole.
Nel corpo fisico si hanno tre coppie di polarità: anteriore e posteriore, laterale destra e laterale sinistra, superiore e inferiore. Altri esempi di polarità psicofisiche, oltre a quelle citate in precedenza, sono: la fase inspiratoria e la fase espiratoria, il tenere gli occhi chiusi o aperti, il respirare dalla narice sinistra o da quella destra, il tenere gli angoli della bocca rivolti in su o in giù. Anche gli argomenti trattati nei seguenti paragrafi possono essere considerati coppie di polarità. Di tutto ciò si deve tenere sempre più conto nella propria pratica personale, man mano che l’esperienza aumenta. Nel rapporto con l’insegnante, la principale equilibratura da ricercare è quella fra la fiducia e la non dipendenza.
3) Punti d’arrivo e punti di partenza
Poiché la maggior parte degli occidentali conosce dello Yoga soprattutto gli âsana, sono molto diffusi due stati d’animo contrastanti: alcuni si sentono scoraggiati dalla visione di posizioni difficilissime e acrobatiche, pensando che non potranno mai raggiungerle; altri cercano di eseguirle ad ogni costo, anche andando al di là di quello che il loro organismo può sopportare senza danno. Questi due atteggiamenti sono entrambi sbagliati: è importante rendersi conto che le tecniche yoga possono essere eseguite a diversi livelli, e che certi risultati spettacolari rappresentano il punto di arrivo di una lunga pratica. A volte certe dimostrazioni possono generare la convinzione che le posizioni si debbano eseguire esattamente come le esegue il maestro oppure siano da considerarsi non riuscite. è invece vero il contrario: nella quasi totalità dei casi il principiante non deve e non può eseguirle come l’insegnante, ma deve cercare l’esecuzione che più si avvicina a quella ideale rimanendo nei propri limiti, sapendo che anche in questo modo otterrà grandi benefici e che le sue limitazioni, gradualmente, saranno superate. La vera pratica dello Yoga è basata sulla gradualità e sull’assenza di competizione, sia con gli altri che con se stessi. Se il praticante è preoccupato soltanto dell’aspetto esterno della pratica e considera il raggiungimento di una data posizione come il suo fine, non si tratta di Yoga ma semplicemente di acrobazia.
Ogni pratica può essere scomposta in diverse tappe, ciascuna delle quali prepara alla successiva. Un esempio concreto è dato dalla posizione di equilibrio di figura 1, che può essere eseguita a diversi livelli di complessità: la sua difficoltà varia a seconda del punto fino a cui si solleva il piede appoggiato all’altra gamba, a seconda che le mani siano tenute congiunte all’altezza del petto o sollevate in alto, e per altri fattori. Può accadere che una persona riesca materialmente a mantenere la posizione più impegnativa, col piede alla massima altezza e le braccia tese in alto, ma che questo le trasmetta tensione, perché il suo senso dell’equilibrio non è ancora abbastanza esercitato. In questo caso è giusto attenuare l’esecuzione, ad esempio portando il piede all’altezza dell’altro ginocchio o abbassando le braccia. Analoghe considerazioni si possono fare per tutti i tipi di flessioni, che produrranno sensazioni dolorose, se forzate in modo eccessivo. Una pratica corretta deve dare tranquillità, non diventare un «combattimento contro il corpo» per imitare a ogni costo il modello, altrimenti si è fuori dallo Yoga, pur eseguendo un esercizio esteticamente ammirevole. Un caso tipico è dato dalla posizione di figura 2, che può essere eseguita senza appoggiare le mani sui talloni, ma tenendole sui fianchi e arrotondando il corpo all’indietro quanto possibile, finché non si è acquistata sufficiente elasticità per eseguire la posizione classica. Spesso si cercano le cose spettacolari e si disprezzano quelle semplici, mentre proprio le più semplici sarebbero più utili; una pratica difficile e complicata, ovviamente, impegna di più la mente per la sua realizzazione, anche se, quando un certo livello è stabilmente acquisito, è giusto provarne uno più intenso.
Fig. 1 | Fig. 2 |
La giusta progressione è ancora più importante nelle tecniche di controllo del respiro, in cui la durata delle ritenzioni deve essere aumentata con grande gradualità e prudenza. Anche verso la mente è necessario tenere un atteggiamento paziente e non cercare di dirigerla e concentrarla con sforzo, ma attendere che a poco a poco rallenti i suoi movimenti e diventi controllabile. Una pratica corretta concilia disciplina e originalità: l’eccesso nell’una porta all’imitazione, l’eccesso nell’altra alla dispersione. è questo un altro esempio di coppia di polarità da equilibrare. Ad ogni livello, la pratica dovrebbe essere ispirata alla seguente regola: non essere troppo severi con se stessi, non essere troppo indulgenti con se stessi.
4) Precisione e intensità, ovvero volontà e abbandono
Questo argomento è strettamente connesso col precedente. Alcune posizioni (ad esempio molte estensioni all’indietro) richiedono un certo sforzo muscolare volontario per essere mantenute, in altre si può rimanere in uno stato di abbandono. Prendendo ad esempio la posizione di piegamento laterale di figura 3, si osserva che per perfezionare quest’âsana non è necessario intensificare volontariamente il piegamento: è sufficiente, dopo avere preso la posizione di partenza, lasciarsi abbandonare verso il basso, lasciando alla forza di gravità il compito di trascinare sempre più in giù il tronco. L’effetto sarà tanto più intenso quanto più sarà rilassato il lato del corpo corrispondente al braccio alzato. Infatti il rilassamento allunga la muscolatura mentre lo sforzo l’accorcia. è questo il principio del «creare le condizioni» per la riuscita, preoccupandosi, prima che dell’azione volontaria, di rimuovere gli ostacoli che impediscono che le cose si facciano.
Fig. 3 |
Anche nei casi in cui è richiesto uno sforzo, comunque, si cercherà il minimo lavoro muscolare che basta a ottenere l’effetto voluto: una contrazione più forte sarebbe non solo inutile ma occasione di tensioni. è importante invece preoccuparsi dell’esattezza della posizione di partenza: ad esempio, nel caso in questione, il piegamento deve essere esclusivamente laterale, senza far curvare la colonna vertebrale in avanti neppure leggermente, anche se facendolo si ha l’impressione di chinarsi un po’ di più, né lasciar cadere il braccio alzato davanti alla fronte, poiché lo scopo è quello di ottenere un allungamento laterale.
Un altro caso molto significativo, nel caso di una posizione di forza, è quello di figura 4, in cui la distanza fra le mani e i piedi condiziona notevolmente l’esecuzione: se i piedi sono troppo lontani, per cui le gambe, dal ginocchio alla caviglia, non sono verticali, il mantenimento diviene molto faticoso. è importante ricordare sempre che quando una tecnica è eseguita in modo corretto non si sente il desiderio di terminarla in breve tempo: è questo il più sicuro segno che si sta praticando col giusto atteggiamento e in modo adeguato alla propria attuale situazione.
Fig. 4 |
A volte può anche essere utile praticare in modo volutamente sbagliato per avvertire la differenza, ad esempio eseguendo la posizione precedentemente descritta coi piedi molto distanziati dalle mani; ci si accorge così dell’importanza di seguire esattamente le istruzioni. Persino una pratica eseguita in modo eccessivo per sbadataggine può essere utile, perché aiuta a rendersi conto dei propri limiti, una volta che il fatto è venuto alla coscienza.
Chi pratica con un insegnante non dovrebbe aspettarsi di ricevere molte correzioni individuali alle sue esecuzioni, anche se inizialmente questo può essere necessario, ma abituarsi all’autosufficienza mediante la consapevolezza; affidarsi sempre all’aiuto esterno non favorisce l’evoluzione ma la dipendenza.
Spesso gli atteggiamenti sbagliati sono dovuti al fatto che è considerato scopo dell’âsana soprattutto il piegamento dell’articolazione anziché l’allungamento muscolare. Quest’ultimo invece, fra i vari effetti degli âsana, è particolarmente importante per eliminare le contrazioni prolungate della muscolatura, che vengono mantenute inconsapevolmente nel corso della giornata anche quando non c’è alcun lavoro da eseguire, e che costituiscono un ostacolo alla libera espansione del movimento respiratorio e causano un consumo inutile di energia. La loro eliminazione facilita il fluire del prâna in tutte le parti del corpo e prepara all’esecuzione delle tecniche superiori. Oltre alla posizione di estensione laterale descritta sopra, un esempio tipico è dato dalla posizione di allungamento in avanti della figura 5, in cui il praticante non dovrebbe avere come principale preoccupazione il fatto di portare il tronco il più possibile a contatto con le gambe, ma piuttosto tenere l’attenzione sull’effetto di scioglimento delle tensioni del dorso e sul fatto che le vertebre tendono a distanziarsi l’una dall’altra.
Fig. 5 |
A conclusione di quanto detto, si può notare che il rilassamento, che non compare nell’elenco delle tecniche raccomandate dalle varie tradizioni, è una caratteristica di tutta la pratica yoga ed è condizione necessaria per eseguire correttamente le tecniche stesse. L’idea di sforzo che è connessa al significato della parola Hatha è sempre distinta da quella di competizione e di mancanza di rispetto dei propri limiti, mentre comprende la necessità di una ferma decisione di praticare. Tutti questi concetti saranno ripresi nella trattazione delle singole tecniche.
5) Eseguire e percepire
Come accennato, ogni tecnica yoga presuppone la partecipazione mentale. Inizialmente è inevitabile che la mente abbia frequenti distrazioni: è importante, ogni volta, riportare con calma l’attenzione su ciò che si sta facendo, senza disappunto né sforzo. Ad esempio, ogni volta che un âsana è stabilizzato, è importante che la mente rimanga raccolta e disposta a percepire i messaggi che il corpo le invia, invece di vagare a caso. Ogni âsana può diventare un’occasione per un’espansione della coscienza. Molte persone hanno così poca abitudine a percepire il proprio corpo da ricordarsi di averlo soltanto quando provano qualche disturbo fisico. Durante un âsana, invece di essere interessato soltanto al mantenere la positura, il praticante può percepire le sensazioni provenienti dal corpo, riconoscere la posizione relativa delle sue varie parti, il loro tono muscolare; può osservare l’andamento del respiro e lo stato d’animo. Anche al termine dell’âsana, l’attenzione non deve essere lasciata cadere bruscamente, ma tenuta sugli effetti e sulle impressioni lasciate dalla pratica. Spesso nelle scuole di Yoga si notano praticanti che, quando viene suggerito di sciogliere una data posizione, si affrettano ad abbandonarla di colpo, sia fisicamente che mentalmente, come se terminassero un lavoro pesante o un dovere sgradevole. In effetti, come detto, un âsana può essere veramente sgradevole, ma soltanto se diventa una competizione col corpo, anziché un’occasione di evoluzione. Inoltre, si nota spesso la tendenza a eseguire più distrattamente gli âsana ben conosciuti e considerati facili, aumentando la concentrazione durante quelli più impegnativi. è importante capire che il progresso nello Yoga non si rivela tanto dal raggiungimento di posizioni acrobatiche e complesse, ma dalla perfezione e dalla profondità in quelle semplici.
Un argomento connesso col precedente riguarda il fatto che negli anni recenti molte persone hanno preso l’abitudine di praticare con un sottofondo musicale. A parte le specifiche pratiche in cui si usano la musica e il canto, può essere utile un breve ascolto di musica rilassante prima della seduta per mettersi nelle migliori condizioni per la pratica, come detto nel paragrafo dei consigli generali, ma durante la pratica stessa le percezioni dovrebbero essere interiori. L’abitudine deriva probabilmente dal pregiudizio, abbastanza diffuso, di considerare lo Yoga essenzialmente un metodo di rilassamento. Il sottofondo musicale può effettivamente produrre un certo rilassamento, ma nello stesso tempo non favorisce un superamento di tale stato in direzione delle esperienze di tipo meditativo. Per lo stesso motivo si dovrebbe evitare di controllare la precisione delle proprie posizioni mediante uno specchio o, comunque, con lo sguardo, ma cercare di diventare consapevoli dell’esatto atteggiamento di ogni parte del corpo senza l’uso della vista, anche se inizialmente ciò può essere necessario per chi non è abituato a percepirsi. Inoltre il tenere gli occhi chiusi migliora l’interiorizzazione e facilita la percezione degli effetti. Può essere comunque necessario praticare a occhi aperti agli inizi, quando le tecniche non sono ancora bene conosciute, o quando la situazione individuale o del momento consiglia di privilegiare la polarità della tonicità rispetto a quella del rilassamento.
6) Indicazioni e controindicazioni
A ciascuna delle pratiche classiche dello Yoga sono attribuiti certi effetti specifici. Benché sia possibile osservare i risultati più evidenti, è difficile elencare tutti i benefici di una data tecnica sui vari aspetti della persona. Il principiante può avere la tentazione di eseguire soltanto le pratiche che sembrano condurre a un preciso scopo pratico. Benché non sia sbagliato intensificare certe tecniche allo scopo di superare un dato problema, è importante anche cercare una pratica completa ed equilibrata, rivolta al miglioramento generale delle proprie condizioni, per evitare di ottenere soltanto uno spostamento del problema anziché un superamento.
Alle tecniche yoga sono anche associate solitamente alcune controindicazioni; questo fatto, tuttavia, non deve essere un motivo per rinunciare in partenza a praticarle. Dovrebbe invece essere uno stimolo a cercare, per ciascuno, la propria maniera di eseguirle. Lo Yoga dovrebbe essere una pratica individuale e creativa, trovando per ogni âsana la variante, il livello di intensità, la preparazione e la compensazione che convengono a ciascuno. Spesso si sente domandare se è possibile praticare Yoga quando si soffre di un determinato problema. Le persone che soffrono di problemi gravi sono, evidentemente, quelle che hanno più bisogno di praticarlo, e, disgraziatamente, sono quelle che rischiano di più di essere scoraggiate dalle presentazioni dello Yoga come di una disciplina acrobatica e spettacolare, mentre una pratica semplice e graduale, lontana da spirito di imitazione e di competizione, potrebbe essere il modo migliore per attenuare tali problemi. Forse uno dei casi più tipici è rappresentato dalle posizioni capovolte: è frequente sentir domandare se esse possono essere praticate quando si soffre di ipertensione. Nel corretto spirito dello Yoga tale domanda non dovrebbe neppure essere posta; si dovrebbe invece domandare quali pratiche possono abbassare la pressione sanguigna. Ottenuto questo risultato, il problema non si pone più. Ciò corrisponde al principio dell’adattare la pratica alla persona, e non la persona alla pratica, il che costituisce il più grave errore possibile. Il considerare la seduta di Yoga come una serie di tecniche immutabili da eseguirsi una dopo l’altra riduce la pratica, per così dire, a una linea di montaggio. Nelle scuole tradizionali il maestro istruiva separatamente ogni allievo, proibendogli di rivelare ad altri l’insegnamento ricevuto. La pratica costante, col tempo, può far superare un gran numero di controindicazioni. Una utile formula mentale da tenere sempre presente durante la seduta può essere: «non rinunciare, non forzare».
Nell’esposizione delle singole tecniche saranno riportate le cautele da seguire; seguono qui alcuni criteri generali. Nei periodi di malattia acuta si potranno praticare le tecniche di rilassamento e alcune tecniche respiratorie, con esclusione delle pratiche faticose. In convalescenza la pratica sarà ripresa con gradualità e cautela. In caso di malattie cardiache o di ipertensione si praticheranno gli âsana più semplici e le tecniche di prânâyâma che non causano sforzo, con esclusione delle ritenzioni del respiro. Alle donne è sconsigliato praticare posizioni capovolte nel periodo mestruale. Nel primo o nei primi due giorni di tale periodo, in generale, si dovrebbe astenersi da ogni pratica, salvo i rilassamenti. In gravidanza si devono evitare tutte le posizioni che comprimono l’addome o impegnano i muscoli addominali, e si devono tralasciare le ritenzioni del respiro. I problemi della colonna vertebrale saranno trattati in un apposito capitolo. Gli anziani interporranno posizioni di riposo ogni volta che ne sentiranno il bisogno; l’età non costituisce una controindicazione allo Yoga, purché si segua il buonsenso. Chi ha problemi specifici dovrebbe comunque consultare un insegnante esperto o un medico che abbia conoscenza dello Yoga.
7) Aspettative e distacco
Questo punto rappresenta la sintesi di tutto il discorso precedente. Chi esercita un’attività si aspetta, ovviamente, dei risultati, e anche chi pratica Yoga ha delle aspettative. Tuttavia può accadere che nella ricerca dell’equilibrio e dell’armonia si abbia inconsapevolmente «ansia di arrivare all’armonia», il che ha l’effetto di rendere più difficile il conseguimento dell’obiettivo e costituisce una vera trappola mentale. Il desiderio di superare i propri problemi non deve diventare una nuova passione. Così, la pratica va eseguita con la mente attenta ma distaccata e senza aspettative definite, mantenendosi come indifferenti ai risultati: cercarli ansiosamente e criticamente li farà allontanare di più.
La pratica dovrebbe essere intesa come una ricerca: se il ricercatore sapesse già che cosa deve trovare non farebbe più una ricerca. Inoltre, nessuno deve mai lasciare la seduta con un senso di delusione per non aver potuto eseguire un dato esercizio; al contrario, come detto a proposito della scomposizione in diverse tappe di una pratica, in una seduta corretta ci si rallegra di avere trovato la variante più utile e più consona alle proprie condizioni. Un autentico praticante di Yoga è libero da qualsiasi sentimento di invidia.
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La parola âsana indica in senso stretto una posizione seduta e, per estensione, tutte le posizioni usate nello Yoga. Tuttavia l’âsana non consiste nella semplice assunzione di una posizione ma, come tutte le tecniche yoga, riguarda il complesso della persona. Si può dire che è âsana un atteggiamento del corpo che può essere mantenuto a lungo, con stabilità e comodità, e che aiuta a controllare il respiro e la mente.
Come si è già osservato, molte posizioni spettacolari dello Yoga possono sembrare esercizi acrobatici e faticosi, ma se un autentico maestro esegue una pratica di tale genere ciò significa che essa non gli impone un tale sforzo da turbare la sua tranquillità: un vero yogin si sente comodo in tutto ciò che fa. A seconda della situazione personale e dell’esperienza, ogni persona ha la possibilità di eseguire âsana di un conveniente livello di complessità, mantenendo una sensazione di agio e di calma.
Alcuni âsana possono essere mantenuti in un atteggiamento di abbandono, altri richiedono un certo lavoro muscolare, ma si dovrebbe sempre cercare una condizione di minimo sforzo, in cui la contrazione dei muscoli interessati è limitata al necessario e i muscoli che non intervengono direttamente nel mantenimento sono decontratti. La contrazione di un muscolo quando non è necessario che esso lavori è non solo inutile ma dannosa, poiché costituisce uno spreco di energia e aumenta la tensione mentale. Il mantenimento prolungato di un âsana favorisce il perfezionarsi della distensione: il principiante potrà accorgersi con sorpresa che in certi casi l’esecuzione sembra diventare più riposante col trascorrere del tempo, perché dopo i primi istanti ha cominciato ad abbandonare le sue contrazioni. Anzi, proprio il fatto che non si sente il bisogno di sciogliere l’âsana in breve tempo è il più chiaro segnale che si sta praticando correttamente.
Benché il significato intrinseco della parola âsana definisca una pratica statica, alcune scuole indicano con questo nome anche tecniche di movimento, a volte definite «posizioni dinamiche». Esse possono essere considerate âsana in cui una posizione viene ripetutamente assunta e immediatamente variata, più o meno velocemente, e hanno una funzione di preparazione sia fisica che mentale alla fase statica della seduta, poiché molte persone non sono in grado di accettare fin dall’inizio una sequenza tutta costituita di posizioni immobili. Anche alcune tecniche classificate dai testi tradizionali fra le mudrâ sono oggi comunemente chiamate âsana, particolarmente quando le si esegue senza rivolgere l’attenzione alla gestione delle energie sottili. La vasta gamma di âsana conosciuti può dare effetti molto vari, che si possono riassumere come segue.
1) Effetti fisiologici generali
Molte posizioni del corpo possono deviare la circolazione del sangue verso determinati organi, che ricevono così una maggiore ossigenazione e vengono tonificati. Anche la circolazione linfatica viene influenzata e il sistema endocrino viene armonizzato da una pratica completa ed equilibrata. Anche l’alternanza di contrazioni e rilassamenti stimola notevolmente tali circolazioni e favorisce l’eliminazione delle tossine. I diversi piegamenti della colonna vertebrale influenzano, a seconda dei casi, il sistema nervoso simpatico o quello parasimpatico.
Molte posizioni generano compressioni che realizzano un’azione di massaggio sui vari organi e sulla muscolatura viscerale. Altre migliorano il senso d’equilibrio e la stabilità. Le diverse articolazioni, insufficientemente esercitate dall’attività normale, riprendono la loro scioltezza e il corpo si snellisce.
A questo proposito, è importante ribadire che le flessioni e le torsioni previste in molti âsana non sono semplicemente esercizi di piegamento articolare ma anche di allungamento della muscolatura: questo è considerato da alcune scuole l’effetto di maggiore importanza, perché causa l’eliminazione delle rigidità che impediscono al prâna di circolare liberamente in tutto il corpo. Dopo opportuni esercizi di allungamento è facile sentire una maggiore elasticità dei movimenti di espansione dell’apparato respiratorio, che non sono più contrastati dalle tensioni parassite.
L’allungamento può avvenire con diversi meccanismi. In alcuni casi esso è passivo, come nel caso della posizione di allungamento illustrata a pagina 26 (fig. 5) in cui la forza di gravità perfeziona l’effetto senza bisogno di alcuna azione da parte del praticante. In altri casi è attivo e volontario, come nel caso delle posizioni di estensione all’indietro. Può anche essere ottenuto con un’azione di leva, come nel caso della posizione di torsione di figura 6. In molti casi si può iniziare l’âsana in abbandono passivo e, dopo un certo tempo, se la prima fase lo ha reso possibile e comodo, intensificarlo con un’azione volontaria di piegamento dell’articolazione. Un metodo particolarmente efficace consiste, nelle posizioni di piegamento del tronco nelle varie direzioni, nel tenere l’attenzione sul movimento di espansione e ritrazione dell’apparato respiratorio, sovrapposto alla sensazione di allungamento del lato del torace interessato, cosa che esalta il rilassamento della muscolatura. Altri âsana possono invece tonificare e irrobustire la muscolatura.
Fig. 6 |
2) Effetti respiratori
In ogni âsana è favorita l’espansione del respiro in una data parte dell’apparato respiratorio. Ad esempio, un piegamento in avanti intensifica il respiro dorsale, un piegamento laterale lo estende in un lato e lo riduce nell’altro. Curando di evitare contrazioni inutili, comunque, il respiro non dovrebbe mai essere bloccato in nessuna delle direzioni di espansione dell’apparato respiratorio (anteriore, posteriore, laterale destra e laterale sinistra). Se così fosse, la forma dell’âsana diverrebbe, per così dire, una gabbia, cioè una limitazione energetica, anziché uno strumento di evoluzione. Nella trattazione dell’apprendimento del respiro profondo (p. 222 e segg.) sarà esposto un metodo di autoesame dell’espansione del respiro, che può essere eseguito anche durante gli âsana, per controllarne l’andamento.
In una pratica completa la capacità respiratoria totale viene migliorata, per le ragioni esposte trattando dell’allungamento muscolare. La maggior parte delle scuole consiglia di lasciare il respiro spontaneo durante la fase statica dell’âsana, o, in certi casi, di renderlo un po’ più profondo per intensificare certi effetti di massaggio; in altre scuole si abbina la pratica di certe forme di prânâyâma all’esecuzione di posizioni diverse da quelle sedute. Le pratiche dinamiche favoriscono il ricambio dell’aria contenuta nei polmoni e sono molto utili all’inizio della seduta.
3) Effetti mentali
Da tutto quanto esposto è evidente come gli âsana possano diventare mezzi di espansione della coscienza, poiché la mente partecipa al processo di controllo e coordinazione dei movimenti, senza distrarsi nei pensieri o disperdersi nelle sensazioni esterne. Inoltre gli âsana possono correggere problemi emotivi e psicologici, a causa della corrispondenza tante volte ricordata fra gli stati d’animo e gli atteggiamenti esterni. Ad esempio, in caso di timidezza o imbarazzo l’individuo tende a irrigidire e richiudere in avanti le spalle; una posizione che porta ad aprirle all’indietro, come quella mostrata a pagina 24 (fig. 2), genera lo stato d’animo opposto.
4) Effetti sottili
Gli âsana aumentano la vitalità purificando e sbloccando le nâdî, i canali di passaggio dell’energia. Molti di essi hanno anche un’azione specifica di stimolazione o di rallentamento dell’attività dei chakra.
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Metodologia di esecuzione degli âsana
Sulla metodologia di esecuzione degli âsana si possono dare i seguenti consigli generali, che in parte riprendono e precisano i consigli relativi a tutta la pratica yoga.
I movimenti necessari per assumere l’âsana e per terminarlo dovrebbero essere lenti, armoniosi e uniformi, evitando di alternare fermate e riprese di essi. Nelle pose statiche si deve controllare che permanga un senso di tranquillità, diversamente si deve attenuare la posizione. La maggior parte delle posizioni possono essere scomposte in diverse fasi; ciascuna di esse deve essere eseguita soltanto dopo avere completato la precedente. Al termine si ripasserà per tali fasi in ordine inverso, senza sciogliere la posizione bruscamente, e impiegando all’incirca lo stesso tempo che si è impiegato per assumerla. Se ciò non riuscisse, potrebbe essere un segno che si sono superati i propri limiti, pervenendo a una stanchezza eccessiva.
Quando si partecipa alla lezione di un insegnante, non ci si affretti a iniziare l’esecuzione finché la spiegazione non è stata completata, ma si attenda di avere ben compreso l’essenza della tecnica. Quando la mente sarà pronta, il corpo seguirà spontaneamente. Inizialmente si eseguiranno le varianti più semplici; quando una di esse è acquisita, si tenteranno quelle più complesse.
Nella fase statica l’interiorizzazione può essere migliorata tenendo gli occhi chiusi, salvo che la situazione individuale o del momento richieda una maggiore stimolazione. L’interiorizzazione aumenta il rilassamento, e la posizione si perfeziona automaticamente.
In certi casi conviene assumere una posizione inspirando e scioglierla espirando, o viceversa, poiché il movimento respiratorio e il movimento del corpo si aiutano uno con l’altro. Infatti è più facile ottenere un raddrizzamento inspirando, essendo questa la fase di maggiore tonicità, e un piegamento espirando. D’altra parte eseguire una posizione inspirando potrebbe essere protettivo per certe articolazioni, evitando la forzatura del piegamento. Così può accadere che alcuni maestri consiglino di assumere una posizione inspirando, o anche a polmoni pieni dopo l’inspirazione per aumentare al massimo la tonicità, e altri espirando; come sempre, ognuno dei metodi ha argomenti a favore e altri contro, e la pratica deve essere adattata alle esigenze dell’allievo. Nella descrizione dei singoli âsana sarà indicata la coordinazione col respiro più comune, ma inizialmente ciò si può anche trascurare per posizioni poco impegnative, mentre è importante nei movimenti dinamici. Inoltre non si deve pensare che la posizione vada assunta obbligatoriamente in un solo respiro: è possibile anche compiere una flessione o una torsione moderate durante un atto respiratorio e intensificarle in quelli successivi.
Quando si inizia la seduta con pratiche dinamiche eseguite velocemente, è necessario riposare in una posizione di rilassamento finché il ritmo del cuore e quello del respiro si normalizzano, prima di iniziare pratiche statiche.
Quando un âsana, ad esempio un piegamento laterale, viene eseguito una volta per lato, è utilissimo, dopo la prima volta, fermarsi a percepire la differenza fra le due metà del corpo, per rendersi conto di quante tensioni inconsapevoli, ora dissolte in uno dei lati, erano presenti.
Nelle posizioni di abbandono si penserà non di eseguire ma di «lasciare eseguire» la posizione, rimuovendo gli ostacoli dati dalle proprie rigidità e rinunciando a decidere l’intensità del piegamento: sarà il corpo a decidere il punto massimo di estensione. Il corpo sa fin dove può arrivare, mentre la mente è piena di spirito di competizione. è questo il principio, apparentemente paradossale, di ottenere il risultato «smettendo di fare», anziché facendo, principio di validità generale e non limitato all’esecuzione di un âsana.
Assolutamente estraneo allo spirito dello Yoga, oltre che pericoloso, è il tentativo di pervenire rapidamente a una posizione di intenso piegamento facendosi spingere da un’altra persona durante l’esecuzione. I principianti possono aiutarsi con una rappresentazione mentale, ad esempio immaginando di essere un sacco vuoto che viene lasciato cadere e si affloscia senza alcuna resistenza. Ci si renderà conto che un âsana statico modifica la situazione delle articolazioni molto meglio di quanto facciano i movimenti rapidi e ripetuti, contrariamente a quanto potrebbe venire spontaneo di pensare.
Poiché l’âsana è anche una pratica mentale, durante il mantenimento l’attenzione sarà tenuta su un oggetto di concentrazione, che aiuti a ridurre il flusso dei pensieri e ad aumentare la consapevolezza. Il principale punto di concentrazione è il respiro; in altri casi si può tenere l’attenzione sulle parti del corpo interessate da una flessione o da una contrazione, o sul mantenimento dell’equilibrio. L’atteggiamento sarà quello di un «osservatore disinteressato», a cui l’osservazione non procura reazioni emotive, senza alcun confronto o giudizio.
La successione degli âsana durante la seduta può essere molto varia, a seconda degli effetti che si ricercano. Alcune scuole raccomandano di far seguire ogni posizione da una controposizione. Ciò significa che ogni âsana deve essere seguito da un altro che agisca, per così dire, in senso opposto, allungando ciò che è stato compresso e comprimendo ciò che è stato allungato; esempio tipico è l’alternare piegamenti in avanti con estensioni all’indietro. Altre scuole consigliano invece di far seguire a ogni âsana impegnativo uno o più âsana di compensazione, per rimuovere gli effetti dovuti a eccessivo impegno di una parte delle membra; ad esempio, dopo un âsana che agisca intensamente sulla regione lombare (fig. 7) si potrebbe eseguire la posizione di figura 8, che allinea e distanzia le vertebre di tale regione. Il primo metodo ricerca un maggior effetto energetico, il secondo un maggior effetto fisiologico. Di solito, il primo è preferito da chi esegue una serie di posizioni piuttosto varia, che agisce su diverse funzioni dell’organismo, senza dare una prevalente importanza a una singola pratica. Il secondo è prescelto da chi pone come obiettivo della seduta un ristretto numero di posizioni, da tenersi a lungo e con molta intensità, mentre le altre pratiche sono soprattutto preparazioni e compensazioni di queste. A seconda della situazione è più adatto l’uno o l’altro dei metodi. Per preparazione di una posizione, principio connesso con quello di compensazione, si intende, in generale, la mobilizzazione e l’allungamento di determinate parti del corpo che nella posizione stessa saranno sottoposte a forte estensione. Ad esempio, la posizione di figura 9, che prevede un notevole allungamento dei muscoli del dorso e del collo, risulterà più agevole se preceduta da posizioni più semplici che realizzino, almeno parzialmente, tale allungamento; lo stesso si può dire, nel caso della posizione di figura 10, per i muscoli della parte posteriore della coscia.
Fig. 7 | Fig. 8 |
Fig. 9 | Fig. 10 |
Ogni volta che se ne sente il bisogno si prenderà una posizione di rilassamento; in ogni caso è importante un rilassamento al termine degli âsana, prima di eseguire tecniche di altro genere, e alla fine della seduta. Nei momenti di rilassamento il corpo riposerà mentre la mente sarà tranquilla ma vigile, continuando a percepire i risultati della pratica precedente; nessuna tecnica yoga ha lo scopo di assopire. Si assisterà così, man mano che la seduta procede, al dissolversi di sempre nuove tensioni e all’aumento della sensazione di benessere che ne consegue.
è del tutto impossibile consigliare in astratto i tempi di permanenza in un âsana, senza tener conto della condizione personale e della regolarità nella pratica; nella descrizione delle singole tecniche e delle sequenze si daranno cenni indicativi. Alcune scuole consigliano di non mantenere a lungo gli âsana più impegnativi ma di ripeterne l’esecuzione più volte consecutive, osservando che ogni volta il loro raggiungimento è divenuto più facile; altre consigliano un’esecuzione prolungata, con aumento graduale del tempo di permanenza.
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Si tratta di posizioni inattive, cioè che possono essere mantenute senza alcuna attività muscolare, essendo il corpo disteso sul terreno; il loro scopo è, anzi, di arrivare a un completo abbandono della muscolatura. Esternamente possono sembrare facili, ma è molto difficile eseguirle in modo corretto, rilasciando tutte le tensioni e le contrazioni inconsapevoli. Sono estremamente importanti per le persone stressate, esaurite e ansiose. Rimuovono la stanchezza fisica e mentale, favoriscono l’eliminazione delle tossine e donano calma e pace; sono perciò raccomandate da tutte le scuole come conclusione di una seduta; possono anche essere eseguite prima di iniziarla o al termine delle sequenze dinamiche preparatorie, come momento di presa di coscienza e centratura dell’attenzione, e ogni volta che si desidera una sosta dopo un certo numero di pratiche. Il rilassamento profondo può essere eseguito la sera, al momento di addormentarsi, per rendere il sonno più facile e calmo. In questo caso si prenderà la posizione che sembri più comoda nel letto e si passerà dallo stato di abbandono al sonno, senza uscire dal rilassamento. Diversamente, si riprenderanno i propri movimenti con gradualità, come sarà spiegato in seguito.
Shava-âsana
È chiamato anche mrita-âsana e significa «posizione del cadavere». Il nome richiama l’idea del corpo che giace inerte.
Esecuzione
Sdraiati sul dorso, in completo abbandono, si rilassa l’intera muscolatura, mentre la mente rimane calma e lucida, senza cadere nel sonno (fig. 44). è raccomandato di tenere le braccia un po’ scostate dal corpo, con le palme delle mani rivolte verso l’alto, per eliminare le sensazioni tattili, cercando la posizione più comoda per le spalle, che non devono rimanere sollevate da terra; i piedi sono leggermente distanziati e liberi di scendere lateralmente; il mento è rivolto verso il petto. Non si dovrebbe tenere alcun sostegno sotto il capo, ma se questo sembrasse indispensabile si userà un supporto sottile il più possibile, soprattutto evitando che il mento risulti rovesciato all’indietro.
Fig. 44 |
Particolare cura va rivolta al rilassamento del viso: le palpebre e le labbra devono essere chiuse dolcemente, non serrate, e i denti non devono toccarsi fra loro. Si potrà provare l’impressione che le guance si spostino leggermente verso le orecchie, che le sopracciglia si muovano verso le tempie, che gli occhi tendano ad avvicinarsi l’uno all’altro o che diano l’impressione di galleggiare.
Una volta sistemata la posizione, si può perfezionare lo stato di abbandono percorrendo mentalmente le diverse parti del corpo, sentendo che le eventuali tensioni residue tendono a dissolversi per effetto dello scorrere della consapevolezza sulle membra. Ad esempio si può partire dalla punta di un piede, risalendo lungo la gamba e la relativa metà del tronco fino alla spalla, e poi scendere lungo il braccio fino alle dita della mano, quindi ripetere dall’altro lato. Si risale poi lungo il tronco fino alla cima del capo. Inizialmente, per favorire la presa di coscienza del tono muscolare inconsapevole, può essere molto utile eseguire delle contrazioni volontarie seguite da un abbandono; ad esempio si può stringere forte uno dei pugni o irrigidire un braccio o una gamba, e, dopo un istante, rilasciarli completamente, per percepire meglio la differenza fra i due stati.
Un metodo per raggiungere rapidamente un rilassamento profondo consiste nel sollevare da terra braccia e gambe come per assumere nâv-âsana, la posizione della barca (fig. 38, p. 52), tendere tutto il corpo, stringendo i pugni e contraendo i lineamenti del viso, poi rilasciare di colpo la tensione ricadendo a terra. Questo metodo non è consigliabile ai principianti ed è efficace soltanto se si riesce ad abbandonarsi a terra di colpo, senza trattenersi. Il mento deve essere tenuto appoggiato sul petto, per non rischiare di battere la testa.
Dopo la fase di rilassamento muscolare, si può perfezionare l’interiorizzazione portando l’attenzione sul respiro e seguendo il flusso spontaneo dell’aria. Se la posizione è assunta al termine di una seduta di una certa durata, è consigliato di mantenerla per 10-15 minuti.
Al termine, i movimenti devono essere ripresi con molta gradualità. Si comincerà a muovere le dita delle mani e dei piedi, quindi gli avambracci e le ginocchia, in seguito tutte le articolazioni. è utile muovere alcune volte le braccia in alto e all’indietro, inspirando, e riportarle ai fianchi espirando, quindi ci si volterà su uno dei fianchi, e poi sull’altro. Infine si apriranno gli occhi e ci si alzerà adagio. In caso di sonnolenza eccessiva, si stirerà tutto il corpo con le braccia all’indietro, a polmoni pieni.
Preparazione
Per rendere più comoda la posizione supina è utile premettere qualche movimento per raddrizzare la regione lombare ed estendere la muscolatura del collo, come sarà spiegato nel capitolo sulla colonna vertebrale. Se ci sono particolari problemi in quelle zone si può tenere un piccolo cuscino sotto le ginocchia e un asciugamano ripiegato sotto la nuca, come accennato. Se i problemi sono gravi, si può anche tenere la posizione con una o entrambe le ginocchia piegate e il piede o i piedi a terra, benché ciò renda meno profondo il rilassamento.
Un altro metodo per sdraiarsi allineando la colonna vertebrale è il seguente. Sedendosi con le ginocchia piegate e i piedi a terra un po’ distanziati uno dall’altro, si intrecciano le dita delle mani e si tengono le braccia in mezzo alle ginocchia (fig. 45). Da qui ci si lascia andare all’indietro lentamente cominciando dalla parte inferiore del tronco. Mentre si scende, le braccia eseguono una trazione in avanti, in modo che il corpo si adagi sul terreno poco per volta, come un pallone che rotola. Verso la fine del movimento, quando la nuca sta per toccare terra, si portano le mani dietro di essa e la si accompagna in modo che il capo non si rovesci all’indietro. Infine si distendono le gambe.
Fig. 45 |
Per rialzarsi da terra, se sono presenti disagi, è utile non sollevarsi in avanti, ma girare su un fianco e mettere a terra le ginocchia, passando per la posizione a quattro zampe prima di raddrizzarsi.
Effetti
È considerato il più efficace e importante degli âsana rilassanti. è consigliato da alcune scuole per iniziare la pratica del prânâyâma invece delle posizioni sedute ed è la base per le tecniche di visualizzazione chiamate yoga-nidrâ.
Makara-âsana (versione 1)
«Posizione del coccodrillo». Può essere preferibile a shava-âsana per le persone con articolazioni molto rigide.
Esecuzione
In posizione prona, con le gambe leggermente divaricate, si appoggia ciascuna mano sulla spalla opposta incrociando gli avambracci, che fanno da sostegno alla fronte. Si mantiene quindi l’attenzione sul respiro spontaneo, il che aiuta a ridurre il flusso dei pensieri (fig. 46).
Fig. 46 |
Varianti
Invece di eseguire la posizione in completo abbandono, si può inarcare leggermente le spalle da terra; ciò permette di percepire meglio il respiro nella regione del diaframma. Tale effetto è ancora più intenso nella variante in cui si piegano le braccia una sopra l’altra, in modo che i gomiti siano sovrapposti e il capo riposi su di essi; la mano del braccio che sta sotto si adagerà sull’ascella opposta, e l’altra mano sulla spalla opposta.
Matsyakrîda-âsana
«Posizione del pesce che ondeggia», altra pratica molto riposante.
Esecuzione
Si esegue sdraiandosi su un fianco in modo che la gamba che sta al disotto sia allungata e quella che sta sopra sia piegata al ginocchio; si lascia poi scendere il tronco verso terra in modo che le spalle siano all’incirca alla stessa altezza e che il viso si adagi sui dorsi delle mani (fig. 47). A ogni esecuzione conviene cambiare fianco.
Fig. 47 |
Effetti
Come la precedente, aiuta il respiro diaframmatico; inoltre aiuta la peristalsi intestinale e allevia le infiammazioni del nervo sciatico. è particolarmente raccomandata in caso di gravidanza, in alternativa a shava-âsana.
Varianti
Invece di rivolgere il busto verso terra, si può appoggiarsi su uno dei fianchi e sulla spalla corrispondente, col capo posato sul braccio disteso; le spalle sono sulla stessa verticale. In questo caso si percepisce soprattutto il respiro nell’emitorace che rimane sollevato da terra.
Shayanabuddha-âsana
«Posizione del Buddha dormiente».
Esecuzione
Consiste nello sdraiarsi su un fianco con le gambe distese una sull’altra e il viso sostenuto dal palmo della mano (fig. 48).
Fig. 48 |
Âsana vari
Fra gli âsana descritti in altre sezioni che hanno anche effetti di rilassamento è da ricordare in particolare shashanka-âsana.
Se, durante una serie di posizioni sedute, si avverte il bisogno di una sosta, una posizione adatta per riposare e percepire il proprio stato senza prendere un altro tipo di atteggiamento è quella mostrata in figura 49, con le gambe distese e le mani appoggiate a una certa distanza dal corpo.
Fig. 49 |
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È una tecnica respiratoria, da alcuni confusa con le tecniche di prânâyâma, il cui nome letteralmente significa «lucentezza del cranio». Consiste in una serie di rapide espirazioni che ricordano il movimento del mantice del fabbro e che sono in grado di rinnovare rapidamente l’aria contenuta nei polmoni, dando una sensazione di freschezza alla fronte e di lucidità mentale. Queste espirazioni sono eseguite tenendo il torace fermo, a differenza delle tecniche di prânâyâma, e ritraendo bruscamente la parete addominale. Si lascia poi avvenire spontaneamente l’inspirazione rilasciando i muscoli addominali per far ritornare la parete in fuori. Si ha qui lo stesso principio di funzionamento di un contagocce: dopo aver schiacciato la chiusura di gomma, la si lascia andare, e la pressione atmosferica riempie di liquido il tubo, senza bisogno di alcuna azione volontaria. Un ciclo di kapâlabhâti consiste nel ripetere senza interruzione questo processo di contrazione e rilascio della parete addominale, fino a completare una serie di respiri. Occorre fare molta attenzione a rilassare completamente la muscolatura interessata dopo l’espirazione, altrimenti l’inspirazione non avverrà o avverrà soltanto parzialmente, e dopo poche ripetizioni ci si sentirà senza fiato. Se l’esecuzione è corretta, l’inspirazione dovrebbe durare almeno due volte, secondo altri tre volte, il tempo dell’espirazione. Molte persone hanno pochissimo controllo dei muscoli addominali, o comunque li hanno particolarmente deboli, e hanno difficoltà a capire il movimento, oppure si stancano subito. Molto spesso è difficile rilasciare il controllo al termine dell’espirazione, cosicché si finisce per accompagnare la parete addominale nel suo ritorno invece di abbandonarla. Per acquistare confidenza con i muscoli interessati può essere utile eseguire l’esercizio descritto nel capitolo sul prânâyâma per intensificare il respiro addominale, nella posizione a braccia incrociate (fig. 348).
Fig. 348 |
Per chiarire meglio, kapâlabhâti richiede i seguenti passi.
1) Sedersi in una posizione molto stabile e comoda.
2) Al termine di una inspirazione, mantenere fermo il torace e rilassare la parete addominale.
3) Ritrarre, con la massima velocità possibile, la parete addominale all’indietro. Con l’esperienza, se possibile, cercare di cominciare questa contrazione nella parte più bassa dell’addome, sentendo che il movimento si propaga verso l’alto, oltre che indietro. Il torace potrà avere un piccolo movimento riflesso, ma il busto non si china e le costole non si muovono.
4) Lasciare avvenire l’inspirazione abbandonando del tutto la parete addominale.
5) Riprendere dal punto 3 fino a completare il numero di respiri desiderato.
6) Al termine, controllare che il torace sia ancora tanto pieno d’aria quanto all’inizio. Se non fosse così, ciò è segno che lo si è mosso durante l’esecuzione.
Inizialmente, può essere difficile eseguire il movimento velocemente, in seguito si potrà anche arrivare a eseguire due espulsioni, con le susseguenti inspirazioni, in un secondo. Per un praticante medio, si può pensare di cominciare la pratica con due o tre cicli di dieci respiri, inframmezzati da un breve riposo, aggiungendo cinque respiri ogni otto o quindici giorni, a seconda della regolarità della pratica.
L’esecuzione può variare leggermente a seconda delle scuole. Si può completare un ciclo tenendo chiusa una delle narici, per poi invertire la chiusura al ciclo successivo, o alternare le narici a ogni respirazione. Se una delle narici è parzialmente occlusa, eseguire alcune ripetizioni attraverso di essa può sbloccarla. Inizialmente può essere utile tenere le mani appoggiate sul torace per controllarne l’immobilità. Altri consigliano di cominciare dopo avere contratto la regione anale. è estremamente importante, in ogni caso, evitare di spingere l’aria verso il basso, il che provocherebbe una dannosissima pressione contro la regione pelvica, favorendo la comparsa di ernie, prolassi e incontinenza. Prima di iniziare, si può appoggiare una mano sulla parte inferiore dell’addome e, senza muoverla, controllare che nell’espirazione la parete si distacchi dalla mano stessa, rientrando. Se ci si accorge che invece la mano viene spinta in fuori, si deve sospendere la pratica e cercare di comprendere meglio le istruzioni, prima di riprendere.
L’effetto principale di kapâlabhâti è quello di aumentare il rapporto fra ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Ciò lo rende utile nelle pratiche intense di prânâyâma, in cui si compiono lunghe ritenzioni: l’eseguirlo prima di esse e, di tanto in tanto, in mezzo ad esse, permette di intensificare la pratica ed eseguire ritenzioni più lunghe. Inoltre questa tecnica mantiene libere le vie respiratorie dalle impurità, migliora la digestione a causa del massaggio dei visceri addominali, aumenta l’energia generale e tonifica l’intero organismo. Deve però essere evitato da chi soffre di problemi cardiaci o polmonari. Come è ovvio, non deve assolutamente essere eseguito in caso di gravidanza. Potrebbe inoltre spostare dispositivi intrauterini, se presenti.
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L’apprendimento del respiro profondo
È molto istruttivo compiere un autoesame del proprio respiro spontaneo prima di eseguire pratiche di modificazione, per individuare i propri punti deboli. Non c’è alcuna ragione perché l’apparato respiratorio non si debba espandere in tutte le direzioni inspirando, e il fatto che ciò non avvenga indica uno squilibrio e dimostra che è opportuno insistere maggiormente con certe pratiche piuttosto che con altre. Molte persone, ad esempio, non pensano che il movimento respiratorio avvenga anche posteriormente, anzi, hanno la muscolatura dorsale talmente irrigidita da ridurre al minimo tale espansione. L’autoesame si può compiere osservando mentalmente i movimenti, ma è meglio, specialmente all’inizio, aiutarsi appoggiando le mani sulle varie parti del corpo interessate per percepirli più facilmente. La sequenza delle osservazioni può essere come segue.
Appoggiando una mano sull’ombelico e una sullo sterno, si percepiscono i loro movimenti avvertendo se entrambe le mani si muovono o una sola, e se il loro movimento è esteso, medio o superficiale. Si avverte inoltre quale delle due mani si muove per prima, riconoscendo così anche la direzione del respiro.
Appoggiando poi una mano sull’ombelico e una sul dorso, alla stessa altezza, si avverte se il movimento avviene in entrambe le direzioni e con la stessa intensità. Lo stesso si può fare appoggiando le mani più in alto, una sullo sterno e una sul dorso, alla stessa altezza.
Le mani si possono poi posare sull’addome, alla stessa altezza e un po’ distanziate l’una dall’altra; in seguito si posano, ugualmente distanziate fra loro, sulla parte media del torace, quindi sulla sua parte alta, infine sulle clavicole, controllando la eventuale diversa intensità dei movimenti nelle due metà del petto.
Per osservare la differenza fra la respirazione nei due lati del corpo, si appoggiano le mani sui lati esterni del torace, prima all’altezza delle costole più basse, poi sul medio torace, infine immediatamente sotto le ascelle. Si osserva così se il movimento tende ad allontanare le mani una dall’altra, e se è più intenso da uno dei lati.
Un piccolo movimento di espansione si può osservare infine nel perineo, infilando una mano sotto il corpo, nel punto in cui esso si appoggia a terra.
Si può anche verificare se il respiro fluisce ugualmente nelle due narici respirando da una sola di esse e tenendo tappata l’altra.
Il ripetere il precedente esame di tanto in tanto dimostrerà quali rigidità sono state superate mediante la pratica dello Yoga. Esistono due maniere fondamentali di aumentare la scioltezza delle zone interessate. La prima, già citata, consiste nell’eseguire âsana che provochino allungamenti della muscolatura. Posizioni come hasta-uttâna-âsana (p. 84, fig. 101) o ushtra-âsana (pp. 121-122), ad esempio, aumentano la mobilità anteriore, pâdahasta-âsana (pp. 87-88) e pascimottâna-âsana (p. 143, fig. 205) quella posteriore, ardhachandra-âsana (p. 93, fig. 116) e le sue posizioni derivate quella laterale. L’altra maniera consiste nell’eseguire profonde respirazioni in posizioni che facilitino il fluire del respiro in una data zona, mobilizzando i muscoli relativi. è necessario che tali respirazioni siano profonde ma lente e calme, evitando ogni sforzo; soprattutto, si deve evitare di forzare l’inspirazione. Quando si comincia ad avvertire una resistenza all’ingresso dell’aria, si deve cessare di inspirare, anche se eventualmente si potrebbe immetterne ancora una certa quantità. Alcune posizioni notevoli sono le seguenti.
In posizione seduta a gambe incrociate, si porta ciascuna mano sul ginocchio opposto senza piegare i gomiti e restando leggermente chinati in avanti (p. 217, fig. 348). In questo modo si frena il respiro toracico, mentre si accentua lo spostamento in avanti e all’indietro della parete addominale.
La posizione di preparazione a matsya-âsana e quella parziale (p. 109) favoriscono il respiro diaframmatico; respirando profondamente si avverte un più accentuato movimento delle costole più basse, cioè quelle che non sono saldate allo sterno. Un effetto simile si ha in makara-âsana e in matsyakrîda-âsana (p. 58, figg. 46-47).
Il respiro toracico è particolarmente stimolato sedendo in vajra-âsana e tenendo le mani con le dita intrecciate e le palme rivolte in alto (fig. 349).
Il respiro sottoclavicolare si estende tenendo i pugni leggermente chiusi e portandoli dietro la nuca inspirando, con i gomiti aperti (fig. 350), e abbassandoli lateralmente espirando, o in gomukha-âsana (pp. 139-140).
In tutte le posizioni di piegamento laterale si può accentuare il respiro avvertendo che le costole del lato esteso si aprono a ventaglio. Una variante particolarmente indicata è mostrata in figura 351: in essa la mano del lato che viene compresso è portata sull’altro ginocchio, completando la riduzione del respiro su quel lato.
Fig. 349 | Fig. 350 | Fig. 351 |
In dhârmika-âsana (pp. 172-173, figg. 269-270) si avverte facilmente lo spostamento delle costole verso l’alto; è quindi particolarmente indicato per l’espansione del respiro dorsale.
Una volta ottenuta la decontrazione della muscolatura respiratoria, ci si trova nelle condizioni migliori per iniziare la pratica del respiro profondo e completo. Per facilitarne l’apprendimento, è utile inizialmente associarlo a un movimento del corpo; alcuni degli esercizi possibili sono i seguenti.
In piedi, con le mani congiunte davanti a sé, inspirare sollevando lentamente le braccia in alto ed espirare riabbassandole. Lo stesso si può fare poi muovendo le braccia lateralmente. In seguito si possono coordinare i due movimenti, sollevando le braccia davanti a sé inspirando, abbassandole lateralmente espirando, risollevandole lateralmente inspirando e infine abbassandole davanti a sé espirando.
Un’altra possibilità consiste nel prendere la posizione di p. 217, fig. 348 e, al termine di una espirazione profonda, cominciare l’inspirazione nella parte bassa dell’apparato respiratorio e proseguirla verso l’alto; contemporaneamente raddrizzare il corpo, aprire le braccia portando le mani a terra dietro il dorso e terminare con una leggera flessione all’indietro delle spalle (fig. 352). Espirando si riportano le braccia in avanti inclinandosi leggermente e riprendendo la posizione di partenza.
Fig. 352 |
Il respiro si può poi coordinare con un movimento del collo, chinando il mento sul petto espirando e raddrizzandolo fino a rovesciarlo all’indietro (quanto consente la situazione delle vertebre cervicali) inspirando; le spalle rimangono ferme.
Particolarmente significativo è il coordinamento del respiro col movimento di parvata-âsana (pp. 137-138). Sedendo a gambe incrociate con le braccia allargate ai lati del corpo, inspirando si portano le mani giunte sul capo all’altezza dei capelli (fig. 195), espirando si riportano a terra. Ciò favorisce un respiro nella parte bassa dei polmoni. Dopo alcune ripetizioni, si parte con le mani congiunte sul capo e, inspirando, si tendono le braccia verso l’alto (fig. 196), espirando si riportano le mani sul capo. In questo caso viene favorito un respiro che si svolge nella parte alta dei polmoni. Infine si esegue il movimento completo, partendo con le braccia ai lati del corpo e portandole, inspirando, a congiungere le mani sul capo e poi a tendersi verso l’alto. Espirando si esegue il movimento inverso. Si cerchi di compiere un gesto armonioso e uniforme, evitando di avere un momento di arresto nell’istante in cui le mani si congiungono, difetto molto frequente. Questo movimento favorisce un respiro profondo in cui il riempimento dei polmoni avviene dal basso verso l’alto. Lo svuotamento tenderà invece ad avvenire in senso inverso, vuotando prima la parte alta.
Tutti gli esercizi precedenti vanno eseguiti con un ritmo respiratorio lento il più possibile e senza forzature nell’inspirazione, come accennato, mentre si può accentuare maggiormente l’espirazione, il che favorisce un profondo riempimento spontaneo successivo; tutti gli atti respiratori dovrebbero avere la stessa durata.
Nel capitolo sul mantra sarà esposta un’altra tecnica di respiro profondo associato ad alcune mudrâ e all’emissione di certi suoni.
Dopo aver preso l’abitudine alle respirazioni profonde, per la pratica del prânâyâma ci si dovrà abituare a eseguirle in posizione seduta comoda e immobile, con tutto il corpo eretto e rilassato, e contraendo i muscoli respiratori il minimo indispensabile per fare avvenire il movimento, senza alcuna rigidità. Si dovrebbe cercare un equilibrio fra controllo e spontaneità.
Il respiro deve essere silenzioso, senza la creazione di alcun vortice, diversamente è segno che in qualche punto del passaggio dell’aria c’è una strozzatura. Ci si può aiutare a rendere il respiro più lento e sottile ponendo una mano davanti alle narici e controllando la lievità del flusso dell’aria.
Il movimento dovrà essere esclusivamente di espansione e ritrazione, evitando la tendenza, comune a molte persone, a chinarsi leggermente espirando per raddrizzarsi inspirando. Si può consigliare, in linea di massima, di stabilizzarsi su una durata di almeno sei secondi per l’inspirazione e altrettanti per l’espirazione, prima di procedere con altre pratiche, salvo problemi individuali.
Come accennato, il respiro associato al movimento di parvata-âsana favorisce un riempimento che va dalla parte bassa dei polmoni verso l’alto, mentre lo svuotamento comincia nella parte alta. Quando si respira in posizione immobile o nel prânâyâma, alcune scuole consigliano di far avvenire l’espirazione in questo senso, mentre altre consigliano di cominciare lo svuotamento nella parte bassa. Il secondo metodo ha un aspetto di maggiore volontarietà, mentre il primo induce una maggiore distensione. In questo modo, infatti, per eseguire un respiro completo, al termine di una profonda espirazione in cui si è ritratta la parete addominale, si osserva che per far iniziare l’inspirazione non è necessario compiere un movimento volontario, ma è sufficiente rilassare la parete addominale, che ritornerà in fuori causando il risucchio di una certa quantità di aria nei polmoni; l’effetto è simile a quello del funzionamento di un contagocce, descritto a proposito di kapâlabhâti. L’inspirazione verrà poi completata volontariamente espandendo il torace. Al termine, per far cominciare l’espirazione, non è necessario compiere un movimento volontario, ma è sufficiente rilassare il torace, in modo che le costole e lo sterno si abbassino. In seguito si completerà l’espirazione volontariamente nella parte inferiore, e così via. Si può immaginare che il corpo sia come un bicchiere che si riempie di liquido dal basso, e si svuota dall’alto. I movimenti respiratori, dunque, cominciano tutti con un momento di abbandono, sia riempiendo i polmoni che svuotandoli, mentre il controllo volontario interviene in un secondo tempo. Si realizza dunque il principio del «lasciare eseguire» invece di eseguire, e quello di ricercare il minimo sforzo.
L’ultimo punto importante nell’apprendimento del respiro profondo riguarda il controllo della parete addominale. Se si prova a respirare molto profondamente gonfiando al massimo l’addome e a completare quindi il riempimento espandendo il torace, si osserva che l’addome tende a rientrare. Non è possibile inspirare a pienezza completa se l’addome è proteso in fuori, anche se a un esame superficiale si potrebbe pensare che più esso è protratto più aria entra. Il protendere in fuori l’addome ostacola il movimento delle costole più basse, tipico del respiro diaframmatico; inoltre riduce l’effetto di massaggio sugli organi addominali dato dalla discesa del diaframma. L’addome deve dunque essere elasticamente contenuto dall’ombelico in giù, senza mai arrivare a una rigidità tale da impedire il movimento del diaframma, mentre il respiro si sviluppa all’incirca dalla linea dell’ombelico in su.
In genere, non è immediato trovare il giusto tono muscolare che dia una buona elasticità, evitando sia rigidità che cedimento. La maggior parte delle persone hanno bisogno prima di tutto di eliminare le contrazioni eccessive, che mantengono abitualmente in maniera inconsapevole. Come tutti i muscoli, gli addominali devono essere tonici e non flaccidi, ma dovrebbero essere contratti quanto è necessario, e non di più. In caso di incertezza, sempre meglio sbagliare cedendo un po’ che irrigidendo. Se la posizione seduta è perfetta, il corretto controllo addominale si instaura già quasi automaticamente, specialmente, per la maggior parte degli occidentali, in vajra-âsana; l’addome diventa così il sostegno della colonna d’aria che viene immessa, come il basamento sostiene la colonna di una costruzione.
In alcune persone l’addome non soltanto è irrigidito, ma sembra avere un movimento opposto a quello abituale, cioè muoversi in fuori espirando e rientrare all’inspirazione. Ciò è uno dei più chiari segni di blocco del diaframma: la rigidità di tale muscolo gli impedisce di spostarsi in basso, così che il respiro si sviluppa tutto al di sopra di esso. Espirando si ha poi una fase di distensione, che permette un piccolo rilascio della parte inferiore dell’addome. In tale caso è importante praticare assiduamente gli esercizi di sblocco del respiro spontaneo e di rilassamento generale, prima di perfezionare il controllo addominale.
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